Albino Abico
Durante la dittatura fascista, il giovane operaio fu tra i più attivi diffusori della stampa clandestina e, caduto il regime, fu subito tra gli organizzatori della lotta di liberazione a Milano, dove abitava.
Dopo l’8 settembre 1943, infatti, Abico (che era tornato ferito dalla campagna di Russia, alla quale aveva partecipato come conduttore di ambulanze), aveva costituito, con i suoi compagni di Baggio e Quarto Cagnino, un gruppo chiamato di Assiano, dal nome della cascina nella quale i patrioti nascondevano armi e materiali e preparavano le loro azioni in contatto con la terza GAP di Milano, comandata da Egisto Rubini.
L’operaio (per il quale sarebbe poi stata decretata la ricompensa alla memoria), diresse l’attività del suo gruppo sino all’agosto 1944 quando, su delazione di un collaborazionista che si era infiltrato tra i gappisti, cadde nelle mani dei brigatisti neri della “Muti”, che lo trascinarono nella loro base di via Rovello.
Qui Abico, torturato inutilmente perché parlasse, fu sottoposto ad un sommario processo e condannato a morte. Prima dell’esecuzione potè a mandare ai famigliari un biglietto nel quale, tra l’altro, scriveva: “muoio sereno e con l’animo tranquillo. Contento di morire per la nostra causa: il comunismo e per la nostra cara e bella Italia”.
Albino Abico ( assieme ai patrioti Gianni Alippi, di 24 anni, Bruno Clapiz, trentenne, e Maurizio Del Sale, di 47 anni), fu abbattuto a raffiche di mitra contro un muro di viale Tibaldi, all’altezza del numero 26, dove oggi una lapide lo ricorda con i suoi compagni.