Renata Viganò
Aveva la passione della medicina e sognava di fare il medico, ma per le difficoltà economiche che la sua famiglia aveva incontrato, aveva dovuto interrompere il liceo. Fu così che Renata, prese un "posto nella classe operaia", facendo prima l'inserviente e poi l'infermiera negli ospedali bolognesi. Ma questo suo lavoro al servizio di chi aveva bisogno, non le impediva di scrivere, l'altra sua passione, che già si era manifestata quando, a 13 anni, era riuscita a pubblicare "Ginestra in fiore", una raccolta di poesie. Sino all'8 settembre del 1943 la Viganò aveva continuato lavorare in ospedale e a scrivere, per quotidiani e periodici, elzeviri, poesie, racconti. Con l'armistizio, un'altra svolta esistenziale: con il marito, Antonio Meluschi, e il figlio, l'infermiera-scrittrice partecipa alla lotta partigiana ("la cosa più importante nelle azioni della mia vita", com'ebbe a dire), nelle valli di Comacchio e in Romagna, facendo, sino alla Liberazione, di volta in volta l'infermiera, la staffetta garibaldina, la collaboratrice della stampa clandestina. Di questa esperienza è pervasa la produzione letteraria di Renata Viganò. La sua opera più famosa, L'Agnese va a morire, edita nel 1949 da Einaudi e vincitrice del Premio Viareggio, è stata tradotta in quattordici lingue. Ne è stato tratto un film da Giuliano Montaldo ed è stata ristampata nel 1993 sempre da Einaudi. Ma vale la pena di ricordare, tra la copiosa opera della scrittrice, almeno altri due libri sul tema della Guerra di liberazione: Donne della Resistenza, ventotto affettuosi ritratti di antifasciste bolognesi cadute (Mursia, 1955) e Matrimonio in brigata, una raccolta di significativi racconti partigiani (Vangelista, 1976), uscito proprio l'anno in cui la scrittrice è scomparsa. Due mesi prima della morte, a Renata Viganò è stato assegnato il premio giornalistico "Bolognese del mese", per il suo stretto rapporto con la realtà popolare della città.