Fratelli Cervi
I fratelli Cervi (il maggiore aveva 42 anni, il più giovane 22) e il patriota Quarto Camurri, con loro ristretto prima nel carcere dei Servi e poi in quello di San Tomaso, avrebbero forse potuto salvarsi. Dopo la cattura i Cervi (il padre Alcide, già in età avanzata, dopo la sparatoria e la resa, decisa per non coinvolgere le donne e i bambini, era stato separato dai figli) erano stati a lungo interrogati e seviziati, ma i fascisti non ne avevano cavato nulla. Ad un certo punto - si racconta - giunsero a dirgli: "Volete il perdono? Mettetevi nella Guardia Repubblicana". Risposero: "Crederemmo di sporcarci". Nemmeno i quattro dei Cervi che erano ammogliati ed avevano figli, compreso Gelindo che ne aveva un altro in arrivo, cedettero alle lusinghe. Allora li presero e li portarono tutti al poligono di tiro.
Non si sa quanto abbia pesato, nella decisione di non cedere, l'influenza che Aldo, il più "politicizzato" dei Cervi, esercitava da anni sui fratelli e sui contadini della zona, ai quali aveva insegnato nuovi sistemi d'irrigazione. Aldo - scrisse Piero Calamandrei - non perdeva occasione per educare se stesso e gli altri. "Quando dopo molti anni di accanita fatica di braccia, la famiglia Cervi poté permettersi il lusso di acquistare un trattore, Aldo andò a prenderlo in consegna a Reggio: e sulla strada che porta a Campegine i vicini lo videro tornare trionfante, al volante della macchina nuova, sulla quale aveva issato, come una bandiera internazionale, un gran mappamondo". Oggi la loro casa di Campegine è stata trasformata in un museo.