Don Zeno Saltini
Nono di dodici figli di un agricoltore benestante, all'età di quattordici anni Zeno decide di lasciare la scuola, considerando inutile l'insegnamento che vi s'impartisce. Il ragazzo va a lavorare nei poderi della famiglia, a gomito a gomito con i braccianti della cui vita comincia a valutare la durezza. Sei anni dopo il giovane, che si trova in servizio di leva a Firenze, presso il III Telegrafisti, ha una discussione ideologico-religiosa con un commilitone anarchico che, molto più colto di lui, lo mette in confusione davanti agli altri soldati. Zeno - che prima del servizio militare aveva cominciato un'attività per il recupero di giovani sbandati - capisce quanto sia importante la cultura. Congedato, pur continuando ad impegnarsi nel suo apostolato, decide di riprendere gli studi. Si laurea in legge all'Università Cattolica di Milano, perché ritiene che, da avvocato, potrà meglio difendere i ragazzi che incappano, a causa della loro condizione sociale, nelle maglie della Legge e non possono pagarsi un difensore. Ben presto Zeno Saltini si convince che per aiutare i ragazzi è meglio un'attività di prevenzione e decide, allo scopo, di farsi prete. Celebra la sua prima Messa nel duomo di Carpi e viene poi mandato come vice parroco a San Giacomo Roncole (Modena). Qui comincia a pubblicare un giornalino dal titolo Piccoli Apostoli,getta le basi - in un edificio antistante la chiesa, dove ospita i ragazzi sbandati che chiama "figli" e che poi si chiameranno "Piccoli Apostoli - di quella che diventerà Nomadelfia. Accorrono ad aiutarlo nella sua opera (l'Italia è ormai in guerra) alcune donne e, all'inizio del 1943, sette sacerdoti delle diocesi di Carpi e di Modena. Alla caduta del fascismo, la comunità diffonde, in migliaia di copie, il suo giornaletto che contiene un appello di don Zeno. Vi è scritto tra l'altro: "... È caduto un regime che ha rovinato l'Italia ... Guai a coloro che credono che essere cristiani significhi anche essere conigli: Cristo ha saputo imporsi al Sinedrio e a Cesare a costo della vita ... Questa sera alle otto terrò il consueto discorso sul tema di attualità ... Lasciate il lavoro e venite a S. Giacomo: uniamoci attorno all'altare per trattare i nostri sacrosanti diritti ... Noi rappresentiamo l'ordine, noi siamo coloro che hanno lavorato, sofferto, pianto, lottato per tirare su la nostra gioventù rovinata dal fascismo ... Operai, contadini, lavoratori in genere che siete sempre stati sfruttati più dei buoi, onesti datori di lavoro, uomini di buona volontà, venite tutti e ascoltatemi. ... Vigliacchi e sfruttatori statevene pure a casa perché a voi non spetta, in questo momento, altro compito che attendere per imparare da noi come si realizza una vera fraternità cristiano-sociale ... Padri di famiglia, guai a noi se non comprendiamo l'ora di nostra responsabilità che attraversiamo. I nostri figli ci maledirebbero in eterno." L'arresto di don Zeno Saltini è pressoché immediato. Lo rinchiudono nel carcere di Mirandola, ma viene scarcerato per la compatta protesta popolare. Qualche mese dopo, con l'occupazione nazista, i fascisti rialzano la testa. Pretendono che la Curia faccia internare in manicomio don Zeno, definito "prete bilioso" e "mestatore da bordello". La sua Comunità viene perseguitata; così il sacerdote passa le linee e raggiunge il Sud con alcuni ex prigionieri neozelandesi e venticinque "piccoli apostoli", che sarebbero sicuramente stati deportati dai nazifascisti. Altri "piccoli apostoli" entrano nelle formazioni partigiane (sette di loro moriranno combattendo per la libertà) ed alcuni dei sacerdoti rimasti contribuiranno all'organizzazione della Resistenza e ad aiutare ebrei e perseguitati politici. Dopo la fine della guerra, nel 1947, don Zeno, che è tornato nel Modenese, occupa con i "piccoli apostoli" l'ex campo di concentramento di Fossoli e l'anno successivo esce il testo della "Costituzione di Nomadelfia". Due anni ancora e nasce il "Movimento della Fraternità Umana", avversato dal governo democristiano di allora e da alcuni ambienti ecclesiastici. Nel 1952 il Sant'Uffizio ordina a don Zeno di lasciare la comunità, che ormai conta più di mille persone e che si richiama ai valori del comunismo delle origini del Cristianesimo. Il sacerdote ubbidisce. Viene anche processato per truffa. È assolto, ma Nomadelfia sta ormai per dissolversi. Si salva perché la contessa Maria Giovanna Albertoni Pirelli dona ai "nomadelfi", costretti a lasciare Fossoli, una tenuta di alcune centinaia di ettari da bonificare nel Grossetano. Don Zeno, per meglio tutelare i suoi "figli" che si sono sbandati, chiede ed ottiene, nel 1953, da Pio XII la laicizzazione "pro gratia". Sarà riordinato sacerdote soltanto nel 1962 e gli sarà affidata Nomadelfia eretta a parrocchia. Quando don Zeno muore, una delegazione di "nomadelfi" è in visita da Papa Giovanni Paolo II, che gli invia la sua benedizione.