L'analfabetismo storico del Pdl e il 25 aprile
La sconcezza e pericolosità politiche della ormai famigerata ‘raccomandazione’ Garagnani e del suo accoglimento da parte del governo sono state percepite immediatamente, quasi intuitivamente, dalle organizzazioni democratiche e dal loro popolo. Ma forse non è inutile entrare nel merito ‘storico’ e ‘logico’ della proposta perché, nell’attuale clima di revisionismo storiografico e di rimozione della memoria politica, gli argomenti del Garagnani rischiano di diventare senso comune in ampi settori dell’opinione pubblica e forse anche fra molti che poi ne contrastano le estreme conseguenze politiche attuali.
La tesi del Garagnani è semplice, anzi semplificatrice ai limiti dell’analfabetismo, di vecchie ricostruzioni storiche anticomuniste, non necessariamente tutte di destra: la Resistenza, egemonizzata dal PCI, avrebbe avuto come scopo ultimo – secondo queste tesi − l’instaurazione in Italia di un regime comunista; questo pericolo, cioè una politica rivoluzionaria del PCI, sarebbe stato sventato dalla vittoria democristiana nelle elezioni del 18 aprile 1948.
Dunque, il 25 aprile 1945 data ‘comunista’ e come tale emblematica di una potenziale spaccatura del Paese e della sua società civile (quanti guai collaterali ha provocato la tesi della Resistenza come guerra civile piuttosto che di liberazione!), mentre invece il 18 aprile 1948 data ‘anticomunista’ (ancor più che democristiana) e come tale simbolica di un’Italia finalmente liberata e democraticamente compattata. Insomma il vero punto, alle origini dell’Italia postbellica, sarebbe stata la liberazione mica dall’occupazione nazifascista ma dalla minaccia comunista! Un Galli Della Loggia, per sollevarci un attimo dalle bassure garagnaniniane, penso che prudentemente non sottoscriverebbe l’ordine del giorno del deputato PDL, però non storcerebbe il naso di fronte a un tale quadro storico.
Ora, così a memoria, puntualizziamo l’oggettiva verità storica.
Punto primo: è verissimo che i comunisti furono una forza (ideale e materiale) decisiva nella Resistenza, però una componente fra altre: cattoliche, monarchico-badogliane, laico-liberali, azioniste. Un arco unitario, il CLN, che certo dovette trovare giorno per giorno i suoi equilibri politici fra mille interne conflittualità, non davvero un blocco comunista (che mai un Parri avrebbe presieduto): legga il Garagnani – non voglio imporgli letture più impegnative – un romanzo come Il partigiano Jonny del partigiano Beppe Fenoglio, e vedrà quale tasso di anticomunismo e antigaribaldinismo animava settori della Resistenza essenziali culturalmente e militarmente. La quale Resistenza, proprio in quanto forza eminentemente nazionale (i partigiani ‘patrioti’, il ‘secondo Risorgimento’), organizzava in sé gli embrioni delle forze che poi avrebbero dato vita non solo a grandi, aspri confronti e conflitti culturali e politici, ma anche e soprattutto, unitariamente, alla nascita della Repubblica e al varo della Costituzione.
Punto secondo. La linea politica del PCI, da Salerno in poi, non perseguì affatto intenti di rivoluzione bolscevica, bensì di democratizzazione istituzionale e sociale: chi si avventura in tali questioni (storici e politici seri, non dico i Garagnani) avrebbe l’obbligo intellettuale di andar a vedere quale fu l’azione politica dei ministri comunisti (non solo Togliatti alla Giustizia, ma Sereni, Pesenti, Gullo ai dicasteri economici …) nei governi postbellici che per comodità chiamerò governi-CLN e dei parlamentari comunisti nella Costituente. Ricordano nulla l’amnistia che tese ad attenuare il rischio di una permanente belligeranza civile ovvero l’articolo 7, con i comunisti costantemente alla ricerca di soluzioni nazionalmente unitarie e perciò criticati ‘a sinistra’ da una parte degli azionisti e degli stessi socialisti? Certo, nuclei partigiani (e non solo comunisti) che si illusero su un esito rivoluzionario della Resistenza ci furono, né poteva essere diversamente: ma furono emarginati e ‘disarmati’, al punto che molti poi parlarono, anche per questo, di Resistenza tradita da un tatticismo unitario e gradualista inaugurato dalla svolta di Salerno. Troppo lungo si farebbe qui il discorso: mi limito a concludere che, fra 1945 e 1948, i ‘resistenti’ – unitariamente, col contributo essenziale della sinistra e dei comunisti – diedero luogo ad eccellenti governi che misero le basi per la ricostruzione, che combatterono e vinsero per una Repubblica parlamentare, che vararono la Costituzione fondata sul lavoro. Fondata sui lavoratori, aveva proposto Togliatti: sul lavoro, mediò De Gasperi, e chi oggi mette in discussione quella Costituzione e in particolare la sua articolazione sul lavoro dovrebbe essere consapevole di non attaccare solo Togliatti comunista, ma anche De Gasperi democristiano. Il quale mai si sarebbe sognato, anzi mai si sognò di pensare a un 18 sostitutivo del 25 aprile: perché in quel conflitto politico non era affatto in gioco (durissimo gioco) la rimozione della Resistenza antifascista e antinazista, bensì la sua eredità.
Terzo punto. Il 18 aprile seguì la rottura, voluta dalla DC, dei governi di unità CLN: un’imposizione, prima di tutto (cioè prima delle stesse, profonde differenze ideologiche che pur c’erano), del contesto internazionale di guerra fredda, Est e Ovest. Un contesto, diciamolo, che fece dare e dire a tutti il peggio di sé e che segnò profondamente il sistema democratico italiano fino al dramma politico di Moro e di Berlinguer. Ma, restando al 1948 e senza in questa sede poter seriamente approfondire quanto avvenne, certo è che quella fu data di divisione, divisione nefasta: sopravvenne la stagione dello scontro fra quelli che il poeta Montale chiamò – con uguale e forse non condivisibile e però ben comprensibile estraneità – il chierico rosso comunista e il chierico nero clericale.
È questa la stagione di divisione nazionale che si vorrebbe celebrare contro quella di unità nazionale della Resistenza? Forse sì, forse è proprio così, perché, insieme alla stagione di unità nazionale, questo governo ha in mente di cancellare Repubblica parlamentare e Costituzione, inaugurando nel Paese una stagione di divisioni e di conflitti dalle conseguenze imprevedibili. Un Garagnani che propone, passi nei giorni grigi di Scilipoti responsabile: ma un governo che accoglie è governo intrinsecamente anti-nazionale, anti-istituzionale, tendenzialmente sovversivo. Ricordiamo Gramsci (ah, un comunista …) e la sua denuncia del cancro italiano, l’endemico sovversivismo delle classi dirigenti.
Umberto Carpi
Componente del Comitato Nazionale ANPI