Diario di un anno
2 giugno 1943-10 giugno 1944.
di Ivanoe Bonomi, Garzanti, 1947, pp. 204
Questo diario, “ritrovato” di recente, ricostruisce per la storia dell’Italia tre importanti periodi, tra il giugno 1943 e il 10 giugno 1944.
È anche l’occasione per ricordare la figura e l’opera, soprattutto in quegli anni, di Ivanoe Bonomi (1873-1951), a sessant’anni dalla scomparsa. Socialista moderato e riformista, fu più volte ministro e presidente del Consiglio (1921-22); responsabile del Comitato di Liberazione Nazionale centrale (1943), Bonomi fu Capo del Governo (giugno 1944-giugno 1945) e presidente del Senato dell’Italia repubblicana (1948-1951).
I tre periodi base del diario comprendono: l’azione svolta dall’Autore per persuadere la Monarchia al colpo di Stato, secondo un disegno che, però, fu abbandonato; il travaglio per uscire dalla alleanza tedesca, incentrato sui primi quarantacinque giorni del Governo Badoglio e concluso con la dichiarazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943; il terzo periodo è dedicato alla vita clandestina del Comitato di Liberazione Nazionale, a partire dal 9 settembre 1943 fino al 10 giugno 1944, con la formazione del primo ministero da lui guidato.
In prefazione, Bonomi precisa che la pubblicazione di queste pagine vuole ricordare le reiterate esortazioni dell’antifascismo al re, le intese con Badoglio, le modalità dell’intervento regio e le “ragioni vere per cui quegli accordi politici restarono lettera morta”.
Egli, infatti, aveva proposto al re e a Badoglio la creazione di un ministero capeggiato dal Maresciallo, ma composto da tutte le correnti dell’antifascismo, in modo da determinare una netta rottura con il regime: “Un tale ministero, interprete della rivoluzione nazionale determinatasi nel Paese per effetto della caduta di Mussolini e dell’avvento dei suoi oppositori, doveva dichiarare alla Germania che l’alleanza (che era per patto scritto) non poteva esistere più e che veniva apertamente denunziata. Tale denunzia non doveva ritardare se non i pochissimi giorni necessari a dare le opportune disposizioni militari (raccolta delle forze, rottura di comunicazioni sulle vie donde poteva sferrarsi un attacco germanico) perché l’Italia si trovasse pronta a resistere alla più probabile rappresaglia tedesca”.
Ma il re e i suoi consiglieri respinsero tale disegno. Annota Bonomi: “Forse il re non arrivò mai a concepire la possibilità di un Governo Grandi-Ciano-Federzoni, ma si illuse che un Governo di funzionari neutri, con un generale alla testa, potesse acquistare fascisti e antifascisti, nascondere alla Germania i nostri propositi e intanto dar tempo all’Italia di trovare qualche pretesto per uno sganciamento dall’alleato”.
Il periodo dei quarantacinque giorni del Governo badogliano è pieno delle esortazioni vive, pressanti, reiterate dei partiti antifascisti per indurre il capo del Governo a liberarsi dalla Germania.
Nel diario vi è la registrazione esatta degli ordini del giorno, delle visite, delle conversazioni, dirette a persuadere Badoglio a compiere un “atto di volontà prima che la discesa in Italia di sempre più cospicue forze tedesche rendesse più difficile e pericoloso il fatale distacco”.
Nella terza parte del diario, dedicata alla costituzione del Comitato di Liberazione Nazionale e al travaglio delle tendenze che si svolsero al suo interno, Bonomi mette in rilievo che la Russia era stata la prima ad accostarsi al Governo di Badoglio e “a riconoscerlo come un compagno d’armi nella lotta contro la Germania”.
Era quindi naturale che la Russia, fatto il primo passo verso il Governo di Brindisi, “desiderasse il rafforzamento di un Governo col quale aveva per prima stabiliti amichevoli contatti”. Perciò, appena ebbe toccato il suolo italiano, Palmiro Togliatti potè dire alle folle del Mezzogiorno che egli “non vedeva ragione perché il popolo italiano si tenesse in diffidente atteggiamento di fronte al Governo Badoglio e perché facesse dell’abdicazione del re la condizione necessaria alla sua partecipazione alla guerra; un’ondata di consensi proletari seguì le sue parole e trascinò i riluttanti nella nuova scia”. Quando poi, qualche settimana dopo – precisa Bonomi –, Togliatti si dichiarò disposto a entrare in un rinnovato Gabinetto Badoglio, anche i partiti e gli uomini che avevano puntato sull’abdicazione del re, si sentirono costretti a seguire il binomio Badoglio-Togliatti e a partecipare a una nuova coalizione governativa che, senza mettere ancora l’accento “sull’impegno legislativo per una futura Assemblea Costituente, prometteva l’elezione di una Camera, insieme costituente e legislativa, la quale avrebbe avuto incarico di risolvere la questione istituzionale”.
Con la costituzione del suo primo Gabinetto, Bonomi termina il diario perché da quel momento la sua opera diventava “pubblica” e non aveva più alcuna necessità di essere annotata. Ricorda, comunque, che per un lungo anno tenne il “timone dello Stato”, attraverso due governi.
Schiere di storici, poi, hanno ricostruito tutti i particolari delle convulse vicende di quel drammatico periodo della storia italiana.
A chiusura di questo importante diario, però, il faticoso impegno di governo di Ivanoe Bonomi merita questa sintetica citazione: “Dovetti superare difficoltà formidabili: ricreare uno Stato, formare con il concorso inglese un piccolo esercito modernamente attrezzato, riprendere i rapporti diplomatici e inviare ambasciatori nei maggiori paesi, collegare Roma col movimento partigiano e sovvenirlo di mezzi, tener ferma la moneta e provvedere ai crescenti bisogni della finanza, promulgare una nuova legge sull’elettorato e preparare le liste in vista delle future elezioni. L’opera ardua fu condotta fino alla completa liberazione del territorio nazionale, liberazione nella quale rifulse il valore delle forze armate italiane. Poi, così come era avvenuto dopo la liberazione di Roma, altre correnti e altri uomini, venuti dalla guerra partigiana del Settentrione, reclamarono il potere e io fui ben lieto di cederlo”.