Generazione ribelle
a cura di Mario Avagliano e introduzione di Alessandro Portelli, Einaudi, 2006, pp. 455, euro 24,00
La Resistenza si riprende la parola. E lo fa attraverso la memoria scritta, priva di filtri agiografici e strumentalizzazioni di parte, di quella "generazione ribelle" che tra il 1943 e il 1945 restituì all'Italia la dignità perduta nel ventennio fascista e ristabilì, sia pur per poco tempo, il legame ideale con il Risorgimento. "Oggi in nessuna nazione civile il distacco fra le possibilità vitali e la condizione attuale è così grande: tocca a noi di colmare questo distacco e dichiarare lo stato di emergenza", scrive Giaime Pintor al fratello Luigi tre giorni prima di saltare in aria su una mina, in una delle lettere che appaiono nel volume "La generazione ribelle", a cura di Mario Avagliano, la prima raccolta di lettere e diari che arrivano direttamente dal cuore del mondo partigiano.
Le parole di Giaime Pintor al fratello Luigi appaiono nei manuali di storia contemporanea. Ma qui, in questo volume, servono a dire lucidamente quello che ad altri, spesso, non riesce di dire. Nelle 150 testimonianze raccolte con cura da Avagliano, direttore del Centro studi del Lazio per la Resistenza, esce fuori la lotta di liberazione così com'era, senza l'alone di mito che sarebbe arrivato dopo il '45 ne' le ombre di crimini che una storiografia interessata,esageratamente revisionista, vi ha gettato addosso con evidente abuso strumentale. Quanta distorsione sarebbe arrivata alla fine della guerra, gli stessi partigiani più accorti lo avevano capito già durante la guerra: "Bisogna scrivere di questi fatti, perché fra qualche decennio una nuova retorica patriottarda o pseudoliberale non venga a esaltare le formazioni dei purissimi eroi. Siamo quello che siamo", annota nel suo diario Emanuele Artom, ebreo azionista, docente universitario, dopo aver criticato alcuni fatti disdicevoli commessi da partigiani.
Lettere e diari scandiscono due anni di storia italiana e di italiani. Avagliano le ha selezionate in capitoli, ognuno dei quali introdotto da una ricognizione storica parca perché rispettosa dei protagonisti. Il curatore è attento a mettersi da parte per lasciar parlare loro e interviene a piè di pagina solo per spiegare chi scrive e da dove scrive. E chi scrive, sottolinea Portelli, è certo una minoranza che ha avuto la possibilità di imparare a farlo.