Il Giusto che inventò il morbo di K
di Pietro Borromeo, Fermento, 2007, pp.61, euro 4,90
Secondo un proverbio talmudico “Chi salva una vita, è come se avesse salvato il mondo intero”, perché esso sussiste soltanto per merito delle azioni dei Giusti (uomini e donne) che vivono in mezzo a noi, tra le nazioni del mondo. In queste pagine c’è la storia del prof. Giovanni Borromeo (1898-1961), medico, dal mondo ebraico riconosciuto “Giusto” fra le Nazioni, il 2 marzo 2005.
Figlio del medico romano Pietro e nipote di un altro medico, di famiglia di lontana origine milanese, già iscritto alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Roma, a diciotto anni, appena compiuti, parte per la Grande guerra, dalla quale ritorna con una medaglia di bronzo al valor militare. L’esperienza bellica non gli impedisce di laurearsi con 110 e lode e Premio Girolami, ad appena ventidue anni. A trentuno anni vince il concorso degli Ospedali Riuniti di Roma quale Primario Medico. Antifascista, avendo rifiutato di prendere la tessera del Partito, gli è negata l’assegnazione del posto.
Nella primavera del 1934 avviene l’incontro che cambierà la sua vita professionale; conosce il Priore dell’Ordine Ospedaliero San Giovanni Calibita, Fra’ Maurizio Bialek, un polacco coraggioso e dalla vista lunga.
A Roma, sull’isola Tiberina esisteva ancora l’Ospedale fondato nel ‘500 (Fatebenefratelli) ormai ridotto a un cronicario con pochi vecchi malati. L’idea di Fra’ Maurizio è semplice: recuperare l’antico Nosocomio per farne una delle più efficienti strutture della Capitale. La proposta al giovane Primario è questa: “Tu hai il titolo e non hai il posto, io ho il posto e non ho medici, se ci mettiamo insieme possiamo riuscire nel progetto”. L’unica condizione posta dal prof. Borromeo, nell’accettare, è che non si badi a spese, per dotare l’antico Ospedale di tutte le strutture, i macchinari e il personale che egli stesso riterrà occorrenti. Non c’è problema, perché proprio da questa condizione Fra’ Maurizio ha conferma di non aver sbagliato nella scelta.
Durante l’occupazione nazista, con rischio della vita e in osservanza al Giuramento d’Ippocrate, il prof. Borromeo riesce a salvare la vita di oltre un centinaio di ebrei romani, inventando una malattia per la quale ricoverarli, che chiamerà Morbo di K (K sta indifferentemente per Kesserling o per Kappler), con i suoi sintomi, il suo decorso, il temuto contagio (pericolosissimo!), gli eventuali esiti permanenti. Solo un medico veramente padrone della scienza può arrivare a tanto, al punto da sostenerne l’esistenza anche in contraddittorio con altri medici.
Una mattina di fine ottobre 1943, un ragazzino arriva di corsa in Ospedale, chiedendo del Primario: “Stanno arrivando due camion di tedeschi per circondare l’intera struttura e controllare i malati”. Subito dopo, arriva uno dei due camion, che sosta in attesa del secondo che inspiegabilmente tarda.
Ricoverati nel reparto “K”, oltre a un numero consistente di ebrei ci sono anche diversi polacchi sfuggiti alla prigionia tedesca, che non conoscono una sola parola d’italiano. Il primo camion riparte alla ricerca del secondo che arriva poco dopo. La perfetta organizzazione tedesca pare essersi inceppata. Ci vuole più di mezz’ora prima che entrambe le squadre siano pronte al blitz. Tutto ciò è un insperato vantaggio per il prof. Borromeo che passa in rassegna tutti gli affetti dal morbo: “Non dite una parola nemmeno se interrogati, ci penso io, abbiate fiducia”. Con i polacchi fa da interprete Fra’ Maurizio.
Ora le SS sono pronte, circondano e presidiano l’Ospedale. Insieme all’ufficiale in uniforme nera ce n’è un altro, un medico della Wehrmacht e un interprete altoatesino. Scrive l’Autore di queste pagine, figlio del prof. Borromeo: “Papà li accoglie con il miglior sorriso che riesce a sfoderare. Parla fluentemente la loro lingua che ha studiato fin da bambino e che ha perfezionato in seguito… Comincia un’accurata ispezione. La gravità del Morbo di K è scientificamente illustrata. Papà ne descrive i sintomi, l’estrema incertezza di una possibile guarigione, il terribile contagio che lo accompagna, i gravi esiti permanenti. Mostra le cartelle cliniche e chiede all’ufficiale medico di visitare egli stesso i malati, ma il quadro che ne ha fatto terrorizza i tedeschi che cominciano a tenersi alla larga dai degenti… Di fatto poco dopo se ne vanno. Papà mi dirà in seguito che, per fortuna, quel medico non era un genio. Ma questo è tipico della sua modestia: il genio era lui”.
Il prof. Borromeo partecipa anche alla Resistenza, installando insieme a Fra’ Maurizio, negli scantinati dell’Ospedale, una radio ricetrasmittente clandestina, in continuo contatto con i partigiani operanti nel Lazio e soprattutto con il suo amico Generale Roberto Lordi (del quale è medico personale). Questi coordina le truppe italiane sparse, organizzandole per la Resistenza e rifornendole di armi e munizioni. Il Generale viene arrestato dai tedeschi per un suo atto di generosità: il 17 gennaio 1944 si presenta spontaneamente alle carceri di via Tasso, insieme al Generale Sabato Martelli Castaldi (nome in codice “Tevere”)per scagionare il proprietario del polverificio “Stacchini”, dove entrambi lavoravano. I due generali erano stati allontanati dall’Aeronautica militare, per avere segnalato per via gerarchica le deficienze e le disfunzioni dell’organizzazione. Finirono nelle Fosse Ardeatine. Entrambi Medaglia d’oro alla memoria.
Poco tempo dopo l’arresto del Generale Lordi, alle sette e mezza di mattina, a casa Borromeo arriva una telefonata. Una voce con forte accento tedesco chiede del Professore. È il comando di via Tasso. A rispondere è la moglie: “Mi dispiace è già uscito”. Dall’altra parte del telefono: “Bene, veniamo a prenderlo, lo aspetteremo”. Ricorda ancora il figlio: “Papà afferra la cornetta: stavo uscendo, vi aspetto. Teme rappresaglie per la famiglia. Non può non andare… al portone c’è già la pattuglia delle SS in attesa… A via Tasso papà scopre il perché della convocazione: il Generale Lordi è malato di cuore e ha chiesto del suo medico. Data la sua posizione di alto ufficiale, gli è stato concesso… Papà ottiene di visitare privatamente il proprio paziente. Appena soli, Roberto Lordi gli sussurra: mi tortureranno e io non so se riuscirò a non fare i nomi di tutti e tu devi impararli a memoria con gli indirizzi, i recapiti, tutto, devi avvertirli che si mettano in salvo al più presto. Papà intanto lo visita perché potrebbero essere spiati. Si salutano con una stretta di mano. Tutti vengono immediatamente avvertiti e fuggono”.
Con la liberazione di Roma e con l’arrivo degli Americani, l’Ospedale Fatebenefratelli, ormai dimessi i pazienti affetti dal Morbo di K (tutti guariti), torna alla sua normale attività.
Al prof. Borromeo verranno rilasciati attestati di benemerenza dalla Comunità Israelitica Romana e da quella nazionale; verrà insignito della Croce al Merito dell’Ordine di Malta e gli sarà anche conferita la Medaglia d’Argento al Valore, con questa motivazione: “Durante la seconda guerra mondiale e nel periodo clandestino volle dedicare ogni sua dote di illustre e valoroso clinico a curare partigiani, patrioti ed ebrei ricercati dalla polizia nazifascista unendo a un raro disinteresse un così spiccato ed elevato spirito di sacrificio da essersi fortemente esposto a gravi e non pochi pericoli. Il suo contributo alla causa della libertà si estese entusiasticamente anche extraprofessione, partecipando in diversissimi campi all’opera altrettanto pericolosa e benefica di dare e far dare asilo, sostegno e conforto morale a tanti perseguitati, contribuendo alla disgregazione materiale e morale del nemico”.