La battaglia di Stalingrado
di Alfio Caruso, Ed. Longanesi, 2012, pp.160, euro 11,60
La battaglia di Stalingrado segnò l’inizio della disfatta militare hitleriana. Per l’importanza strategica che aveva assunto nel quadro del fronte russo-tedesco, la città fu insistentemente attaccata dai Tedeschi a partire dall’agosto 1942.
La conquista di Stalingrado avrebbe infatti permesso all’esercito nazista di impadronirsi della maggiore via acquea di rifornimento della Russia intera (il Volga), di occupare la grande base per le operazioni nel Caucaso e di operare l’accerchiamento per la conquista di Mosca. L’attacco fu iniziato il 19 agosto 1942 dal generale Paulus, comandante della VI armata: il generale russo Timošenko tentò di frenare l’impeto dell’avanzata, ma la città venne investita dall’ondata nazista.
La resistenza, tuttavia, fu possibile grazie alla particolare posizione della città e all’eroico contributo dato da tutta la popolazione. I Russi riuscirono a mantenere la posizione sul Volga e a fare pressione con continui rinforzi e con massicci bombardamenti, sull’ala sinistra dello schieramento tedesco; Paulus nel mese di novembre ritenne opportuno ripiegare, ma Hitler ordinò di mantenere la posizione; il 23 novembre le armate sovietiche, provenendo da nord e da sud, si incontrarono a Kalach e circondarono le forze avversarie.
Intanto i Tedeschi avevano occupato gran parte della città, ma si videro costretti a cercare di sbloccare la situazione: inutile risultò un massiccio attacco con otto divisioni (fra cui tre blindate) per sfondare l’accerchiamento.
Ecco la testimonianza di un carrista tedesco: “Dovemmo passare l’intera giornata a ripulire una strada, da un’estremità all’altra, costruire sbarramenti e centri di fuoco all’estremità occidentale e prepararci a un nuovo passo avanti il giorno seguente. Ma all’alba i russi cominciarono a sparare dalle loro vecchie postazioni all’estremità più lontana. Ci volle un po’ di tempo per capire il loro trucco: avevano aperto dei varchi comunicanti tra i solai e gli attici. Durante la notte, tornavano indietro come topi lungo le travi e piazzavano le mitragliatrici dietro alcune finestre situate molto in alto o dietro camini rotti”.
Il 10 gennaio 1943 i Sovietici sferrarono l’offensiva decisiva per riprendere la città: il 2 febbraio, dopo un bombardamento operato per numerosi giorni con 4.000 pezzi d’artiglieria, la resistenza tedesca fu demolita.
I Tedeschi persero nel combattimento 250.000 uomini, mentre altri 120.000 caddero prigionieri. L’Armata russa contò oltre 485.000 caduti.
Alfio Caruso ricorda anche che, confusi nella massa degli “insaccati”, vi furono 77 genieri italiani che si erano attardati, per raccogliere legna per affrontare l’inverno nelle basi di Millerovo e Vorošilograd. Appartenevano a due autoreparti che avevano trasportato guastatori e rifornimenti agli uomini di Paulus. Bloccati dall’avanzata russa, alla fine di novembre 1942, solo due rivedranno l’Italia: per gli altri, prigionia, malattie, sconforto furono fatali.
Mauro De Vincentiis