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La bicicletta nella Resistenza

di Franco Giannantoni e Ibio Paolucci, Edizioni Arterigere, 2010, pp.254, euro 12,00

Durante i seicento giorni della Resistenza in Italia, la bicicletta fu il mezzo più importante per trasportare documenti/stampa clandestina/rapporti e ordini tra le brigate e per coordinare scioperi e agitazioni. In questo libro di storie partigiane, gli Autori hanno raccolto toccanti testimonianze di protagonisti. Alessandro Vaia, combattente nella guerra di Spagna, comandante partigiano nelle Marche e, alla vigilia della Liberazione, membro del Comitato Insurrezionale di Milano, ricorda come, verso la fine del marzo 1945, si scatenarono i grandi scioperi nel triangolo industriale. Vaia, relativamente a quello di Milano del 28 marzo, ricorda che il Comando delle Brigate Garibaldi aveva predisposto un piano per la protezione delle fabbriche nel caso di interventi dei fascisti e dei tedeschi e, attorno a esse, aveva steso una rete di mille uomini in bicicletta. I collegamenti tra le fabbriche e i Comandi volanti, dislocati in vari punti della città, consentivano il rapido concentramento delle forze ovunque se ne presentasse la necessità. Ma Vaia, con la propria bicicletta, visse un’odissea, prima di guidare a Milano le fasi finali della lotta. “I compagni di Cantiano – racconta Vaia – mi avevano dato una bicicletta nuova al posto di quella sgangherata con la quale ero arrivato. Ma quando, dopo Fano, svoltai sulla strada Adriatica, un soldato tedesco, staccatosi dal suo gruppo, me la prese in cambio della sua. Non avevo fatto molti chilometri che un altro tedesco mi fermò, squadrò la mia bicicletta e la trovò migliore di quella che aveva. Scambiammo ancora una volta le bici e ripartii, convinto che ormai nessuno mi avrebbe tolta quella specie di rottame che mi era stato affibbiato. Ma non fu così. Quando arrivai a pochi chilometri dal mio posto di comando, un soldato tedesco, a piedi, si prese anche la mia ultima bicicletta”. Alla Resistenza presero parte, in forme diverse, accanto ai combattenti partigiani, numerosi atleti del ciclismo agonistico. Campioni ma anche figure minori. Il varesino Luigi Ganna, vincitore del primo Giro d’Italia nel 1909, donò alla 121a Brigata Garibaldi dieci biciclette prodotte dalla sua fabbrica.  Alfredo Pasotti, un eccellente gregario fu combattente partigiano. Gino Bartali, tra il 1943 e il 1944, trasferì in vari punti della Toscana e in Umbria foto e documenti necessari per gli ebrei nascosti in chiese e conventi, celandoli all’interno della canna della bicicletta. “Ginettaccio” fingeva di compiere lunghi allenamenti, per tenersi in forma, affrontando o aggirando i posti di blocco. Altri nomi: Antonio Bevilacqua (due volte iridato di ciclismo su pista), Alfredo Martini (campione tra il ’40 e il ’50 e per molti anni commissario tecnico della nazionale ciclistica), Vito Ortelli (campione d’Italia di inseguimento su pista e della strada, fra i primi a schierarsi per la Liberazione). Tra le tante testimonianze, raccolte in queste pagine, anche quelle del regista Gillo Pontecorvo e di Bruno Trentin, già segretario generale della CGIL. Il libro è completato da un album fotografico.

Franco Giannantoni ha scritto varie opere sulla Resistenza italiana e sul neofascismo.

Ibio Paolucci è stato giornalista politico e giudiziario per “l’Unità” (ha collaborato con “Rinascita” e “Vie Nuove”).