Le streghe della notte
di Gian Piero Milanetti, IBN Editore, 2011, pp.276, euro 22,00
È la “storia non detta delle eroiche ragazze-pilota dell’Unione Sovietica nella Grande Guerra Patriottica”, come è riportato nel sottotitolo. È anche la storia di un biplano di legno e tela, il Polikarpov U-2 (Po-2), monomotore biposto, a doppio comando, progettato, alla fine degli anni Venti del secolo scorso, da Nikolai N. Polikarpov, per addestramento/ricognizione/collegamento.
I tedeschi lo chiamavano “aereo da granturco”, perché prima della guerra era impiegato per spargere prodotti chimici in agricoltura. Nella sua spartana semplicità, era estremamente affidabile (volava in condizioni avverse, quando altri velivoli – tecnologicamente più avanzati – non riuscivano a mettersi in moto).
Fu utilizzato come bombardiere leggero, soprattutto per missioni notturne. Per la sua leggerezza e maneggevolezza, poteva volare a bassa quota e tra i palazzi dei centri abitati. I tedeschi erano convinti che dal Po-2 si potesse guardare attraverso i vetri delle finestre, per scoprire se fossero annidati cecchini nelle case.
Le notti russe erano rigide e le carlinghe scoperte; ma, senza alcun timore, le donne-pilota decollavano e “picchiavano duro”. Molte avevano meno di vent’anni.
Nell’estate del 1942, nessuno poteva immaginare che – a contrastare l’invasione nemica – vi fossero studentesse e operaie, patite del volo. In principio, i piloti della Luftwaffe non se ne resero conto. Quando le scoprirono, le “bollarono” come “Streghe della notte” (o “Streghe volanti”: fu un asso dell’aviazione tedesca, in servizio sul fronte del Caucaso, a ricordare che erano espressioni di rispetto per queste coraggiose donne).
Nella sua documentata ricostruzione, Gian Piero Milanetti precisa che l’unità di addestramento delle aviatrici sovietiche fu costituita tre mesi dopo l’invasione tedesca.
Marina Raskova – che, nell’agosto 1935, aveva partecipato alla prima trasvolata “femminile” da Leningrado a Mosca – il giorno dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa (nome in codice dell’invasione della Russia) cominciò a ricevere lettere dalle giovanissime aviatrici russe che chiedevano di essere impiegate in prima linea.
La Raskova, come membro del Soviet Supremo, si recò presso le Autorità militari, perorando la “causa” delle “mittenti”, brevettate negli aeroclub, prima della guerra. Le Autorità preposte erano favorevoli, ma il “via libera” doveva darlo Stalin che aveva qualche riserva. “Tu capisci – avrebbe detto alla Raskova –, le future generazioni non ci perdonerebbero il sacrificio di tante giovani”. La replica fu: “Loro accorreranno al fronte ugualmente. Lo faranno da sole e sarà peggio se ruberanno gli aerei per andare a combattere”. Proprio in quei giorni, alcune aviatrici respinte presero un aereo da caccia e volarono in prima linea.
Arrivò l’autorizzazione e fu stabilito che, dal 1° dicembre 1941, tre unità femminile sarebbero state costituite e preparate per le linee di volo.
La Raskova programmò e organizzò il gruppo aereo, con l’inserimento delle donne-pilota, delle navigatrici di rotta e delle armiere, dando vita a tre reggimenti: il 586 (caccia bombardieri), il 587 (bombardieri in picchiata) e il 588 (con apparecchi per i bombardamenti “leggeri” notturni).
Il pregio di questo libro è soprattutto nella documentazione fotografica. Una storia nella storia. Scorrendo le pagine, troviamo i volti di queste eroine: davanti al proprio aereo; in gruppo per la foto-ricordo, con i tanti riconoscimenti appuntati sulle divise; con il Po-2 in volo, con le bombe da 100 kg, agganciate sotto le ali, e con la mitragliatrice “brandeggiabile”.
Per comprendere il coraggio e il valore di queste “Streghe”, basta pensare che, durante le lunghe notti invernali, gli equipaggi non scendevano nemmeno per sgranchirsi un po’; restavano a bordo, pronte a decollare di nuovo, mentre gli specialisti rifornivano e riarmavano i piccoli bombardieri.
Per incrementare il numero delle missioni, le “Streghe” decisero di raggruppare gli specialisti in modo che assistessero tutti insieme l’aereo che atterrava, chiunque lo pilotasse. In questo modo, diventava possibile rifornirlo e riarmarlo in soli cinque minuti. Fino ad allora, contando soltanto sul proprio armiere e sul proprio meccanico, non era stato possibile compiere più di un paio di missioni a notte.
Il prezzo da pagare erano stress e insonnia cronici. “Abbiamo dormito dalle due alle quattro ore ogni giorno per tutti e quattro gli anni di durata della guerra”, ricordava Mariya Smirnova, eroina dell’Unione Sovietica.
“C’era sempre il pericolo – per Larisa Litvinova-Rozanova – di cadere addormentate durante le missioni. Di solito ci accordavamo con il navigatore: una di noi dormiva all’andata e l’altra al ritorno”.
Al termine del conflitto, le missioni compiute furono più di 24.000. Trentadue giovani donne-pilota perirono; ventitré furono nominate “Eroine” dell’Unione Sovietica, due “Eroine” della Russia e una della Repubblica del Kazakhistan.
Mauro De Vincentiis
L'autore insegna “Lettere” a Roma. Ha scritto per “Il Messaggero”, “Il Tempo”, “Il Gazzettino” e “Il Giornale”.