Le suore e la Resistenza
a cura di Giorgio Vecchio, In dialogo, 2010, pp.380, euro 18,00
Il volume riprende i contributi del convegno “Le suore e la Resistenza” del 22 aprile 2009, promosso dalla Fondazione culturale Ambrosianeum di Milano, in collaborazione con l’Azione Cattolica ambrosiana. Quasi quattrocento pagine che mettono in luce un contributo – nei giorni della Liberazione – finora scarsamente riconosciuto, eppure spesso fondamentale.
Nella parte finale del libro, Gianfranco Maris (Presidente nazionale ANED, Associazione ex deportati), ricordando una novizia non ancora suora Carmelitana, detenuta a Verona, per avere dato rifugio nelle cascine della sua famiglia a ex prigionieri militari inglesi, scrive: “La storia della Resistenza non armata può sicuramente includere anche questa Carmelitana tra i suoi combattenti, perché anche le idee, i convincimenti e la fede sono armi con le quali si possono combattere guerre giuste”.
Gianfranco Maris aggiunge anche che è molto importante l’indagine sulla “Resistenza non armata” per capire che, quando si dice “valori della Resistenza trasferiti nella nostra Costituzione”, si parla di quei valori per i quali pure le suore seppero operare scelte coraggiose.
Nei vari interventi dei relatori sono ricordati i tanti (non violenti) atti di coraggio delle religiose italiane, divenute di volta in volta soccorritrici, infermiere, informatrici e, spesso, punto di riferimento nei propri istituti di attività clandestina della Resistenza. Non episodi sporadici, singole azioni di carità, ma “aiuti portati con piena consapevolezza agli eventi storici che interessavano l’Italia, segno di una partecipazione corale a una ribellione corale”.
Tra i nomi e le storie ricordate, c’è madre Imelde Ranucci delle Francescane dell’Immacolata di Palagàno (Appennino modenese). Per lei tutto inizia il 16 settembre 1943, quando riceve la visita di un prete che le lascia in custodia una dottoressa polacca israelitica. In seguito arriveranno, per periodi più o meno lunghi, giovani partigiani da nascondere.
A Noventa vicentina, suor Fedora Casol, delle Suore Elisabettine, aprì le porte della scuola materna a partigiani, ebrei e russi, consentendo che vi fosse installato un ufficio anagrafico clandestino e che vi fossero custodite armi.
A Livorno, riunioni clandestine della Resistenza, mascherate come adunanze dell’Apostolato della Preghiera, ebbero luogo nel convento delle Suore Mantellate dell’Ambrogiana.
A Prato i dirigenti del CLN furono nascosti e operarono clandestinamente a partire dal convento di San Niccolò.
A proposito di fughe, vanno ricordate le suore dell’asilo di San Bartolomeo a Como le quali, recandosi quotidianamente alla palestra che fungeva da carcere politico, facilitarono diverse evasioni, compresa quella di Enrico Mattei.
La figura che più di tutte risalta è quella di suor Enrichetta Alfieri “L’Angelo di San Vittore”, morta il 23 novembre 1951, in fama di santità (il lungo e severo Processo canonico dovrebbe essere giunto alle battute finali).
Infine, non si può dimenticare che l’opera preziosa delle suore per il salvataggio degli ebrei, tra il 1943 e il 1945, può essere ricostruita a partire dal libro “I giusti d’Italia”, promosso dalla fondazione Yad Vashem. In quel libro sono numerose le religiose insignite del titolo di “Giuste”.
Giorgio Vecchio è professore ordinario di Storia Contemporanea presso l’Università di Parma.