Ne ammazza più la penna
di Pier Luigi Vercesi, Sellerio, 2014, pp.382, euro 18,00
Storie di giornali e di giornalisti, dai grandi ai meno noti, ognuno con l’esatta cifra della propria personalità.
Come quella di Silvio Pellico che, allo Spielberg, realizzò un reportage che sarebbe entrato nella storia. Oggi – osserva Vercesi – gli verrebbe attribuito il Premio Pulitzer. “Le mie prigioni” è la classica inchiesta sul campo, dentro la notizia.
L’avrebbe resa sistematica ottant’anni più tardi, lo scrittore-giornalista Jack London che, nel 1903, pubblicò un leggendario servizio sulla povertà nell’East End di Londra (“Il popolo nell’abisso”), fingendosi un operaio inglese, per descriverne la vita e la miseria. Oppure, quando la guerra di Crimea fu uno spartiacque per le redazioni. Si stava avvicinando l’epoca in cui i giornalisti sarebbero diventati reporter sui campi di battaglia, per raccontare in presa diretta i fatti. Fece da battistrada il “Times” di Londra, proprio nello scacchiere balcanico. E la peggiore disfatta militare di quel tempo – la carica dei seicento di Balaklava, con cavalli e uomini, armati di sciabole, lanciati al massacro contro i cannoni – si trasformò in un episodio eroico, perché un giornalista spedito al fronte, William Howard Russell, raccontò il disastro con toni epici.
Al termine del percorso intrapreso, Vercesi scrive che, quando Milano si lasciò dietro le spalle la Repubblica di Salò, per prima cosa i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) si preoccuparono dei giornali, per dare voce all’opinione pubblica e riavviare “una macchina democratica del tutto arrugginita”. Ne dovevano nascere di nuovi, in rappresentanza delle forze politiche che orientavano il Paese. Fu “Italia Libera”, organo del Partito d’Azione, ad annunciare per primo ai milanesi il ritorno alla libertà, il mattino del 26 aprile 1945. Seguirono “L’Unità”, organo dei comunisti, “L’Avanti” (socialisti), “Libertà” (liberali), “Il Popolo” (Democrazia Cristiana) e il “Nuovo Corriere”.
Ma erano tempi di carenze croniche, prima che di grandi manovre politico-partitiche, e tutto ruotava attorno ai mezzi di produzione. C’erano le macchine di via Solferino, sede della redazione del “Corriere della Sera”, trasferite nelle cantine, per sottrarle ai bombardamenti, e quelle del Palazzo dell’Informazione di Piazza Cavour 2.
Fu la tipografia di questo complesso che partecipò alla rinascita democratica di Milano e dell’Italia, soprattutto stampando uno degli esperimenti editoriali meglio riusciti dell’immediato dopoguerra: “Il Corriere Lombardo”. Il quotidiano ebbe successo, curando l’aspetto grafico e facendo leva su notizie popolari e sensazionali, tanto che le sinistre pensarono di contrapporgli una loro testata “Milano Sera”, in edicola a partire dal 7 agosto 1945.
“Il Corriere Lombardo” era d’impostazione anticomunista, diretto da Edgardo Sogno, capo di una formazione partigiana monarchica. “Milano Sera” nacque sotto l’egida di tre commissari politici (Mario Bonfantini, per i socialisti, Alfonso Gatto ed Elio Vittorini, per i comunisti). Vendeva poco e cominciava a essere un boomerang per chi lo aveva voluto. Affidato alla guida di Gaetano Afeltra, prima del suo ritorno al “Corriere della Sera”, “Milano Sera”, ispirandosi a “Paris-Soir”, spiccò il volo, fino a raggiungere le 200.000 copie di tiratura.
Pier Luigi Vercesi è direttore di “Sette”, il settimanale del “Corriere della Sera”. È autore di alcuni saggi di storia del giornalismo; ha insegnato “Teoria e tecniche del linguaggio giornalistico”, presso la facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Parma.