Ribellarsi è giusto
di Massimo Ottolenghi, Chiarelettere, 2011, pp.121, euro 12,00
"Occorre completare quello che nella rinascita della Liberazione purtroppo è rimasto incompiuto. Non si tratta di mere preoccupazioni giuridiche o tecniche. È in gioco la qualità umana del vostro futuro". (Dall’Appello, pubblicato in apertura del libro)
Una voce alta e forte, quella di Ottolenghi lanciata attraverso un intero secolo. È il grido di un avvocato, classe 1915, ebreo torinese, partigiano assieme ai padri della Costituzione.
I suoi compagni di strada – una lunga strada – sono stati tanti, e nel libro vengono citati spesso: Ferruccio Parri, Alessandro Galante Garrone, Pietro Calamandrei, Emanuele Artom (ebreo partigiano che fu amico di Ottolenghi, prima di essere trucidato dai nazifascisti nel 1944) e tutta quella fila di “padri” che dovrebbero continuare a ispirare il senso del nostro essere cittadini.
E infatti: quello di cittadinanza è un concetto chiave nel libro. Attorno a questo nodo cruciale si dipanano i temi svolti da Ottolenghi. Perché la cittadinanza è una condizione che non può mai essere interpretata a senso unico, nella sola direzione dei privilegi cui dà diritto, ma dev’essere invece continuamente rinsaldata attraverso il nostro operato civile, di impegno e di partecipazione.
Tre sono i presìdi che, secondo l’autore, si debbono riformare: prima di tutto la scuola pubblica, a sostegno della “cardinalità” di questo istituto, così trascurato; poi la cultura, che non dev’essere vissuta come bene accessorio; infine, ma certamente non ultima, viene la Costituzione, perché solo all’interno di regole condivise (e comprese) possiamo dirci cittadini adulti, consapevoli e adempiere all’obbligo che corre a chiunque viva in mezzo agli uomini, e non come un eremita, fuori dalla storia e dalle cose del mondo.