Adelio Pagliarani
Secondo di quattro figli, dopo l'8 settembre 1943 entrò nella Resistenza locale animando sin dalla sua costituzione il 2º distaccamento del battaglione di Rimini della 29ª Brigata GAP. Il 13 agosto 1944 Pagliarani decise, insieme agli altri gappisti del suo distaccamento (Cristoforo Greppi, Sergio Giorgi, Alfredo Cecchetti, Gino Amati, Mario Capelli e Luigi Nicolò), la cui base era situata in via Ducale, di incendiare una seconda trebbiatrice dopo un analogo sabotaggio riuscito il giorno precedente. Prima di partire i giovani decisero di scattarsi alcune fotografie. Il rullino fu affidato a Giorgi che, insieme ad Amati e Cappelli, si avviò verso l'entroterra in bicicletta. Lungo la strada i tre gappisti si dovettero fermare a Spadarolo, poiché Giorgi aveva un'infezione a un piede che avrebbe potuto pregiudicare l'azione. Stabilirono di passare la notte presso la casa di Greppi, dove era stato approntato un nascondiglio sicuro. Nel frattempo la trebbiatrice fu incendiata dagli altri gappisti che erano insieme a un certo Leo Celli, che però fu riconosciuto dal proprietario della macchina agricola. Denunciato, Celli fu arrestato dai tedeschi e indotto a confessare l'identità dei suoi compagni. Fu fatto il nome di Cecchetti e l'indirizzo della base partigiana. Alle 17.30 del 14 agosto, la base fu accerchiata da fascisti e nazisti. Si trovavano al suo interno Pagliarani, Luigi Nicolò e Mario Cappelli, che nel frattempo era rientrato in città. I tre gappisti furono arrestati e, nella notte, condotti nella sede del Comando tedesco di polizia per essere interrogati. Nonostante le torture, i tre giovani non misero in pericolo i loro compagni di lotta. La mattina del 15 agosto si riunì la Corte marziale, presieduta dall'Oberstleutnant Christiani, del 303º reggimento della 162º divisione di fanteria turkmena, comandata dal generale Ralph von Heygendorff. I tre gappisti furono condannati a morte per impiccagione sulla pubblica piazza; l'esecuzione doveva essere eseguita entro 24 ore. Trascorsa la notte nel convento delle Grazie sul Covignano, dove era stato trasferito il comando dei carabinieri, ebbero modo di scrivere gli ultimi messaggi ai famigliari e di consegnarli al sacerdote Giovanni Callisto, di Vecciano, che aveva ottenuto il permesso di incontrarli prima dell'esecuzione. Nell'avviso pubblico (affisso il 16 agosto 1944 e firmato dal Commissario straordinario Ughi), si leggeva che i tre giovani erano accusati di «ammassamento clandestino di armi e munizioni a fine terroristico e di reati di sabotaggio e attentati contro cose e persone» e che la loro impiccagione pubblica doveva servire di «esempio e di remora a chiunque». Pagliarani e i compagni furono impiccati in Piazza delle Erbe, nel luogo dove sembra sorgesse l'antico Foro romano e dove Giulio Cesare avrebbe arringato i suoi soldati dopo aver attraversato il Rubicone. Dopo la Liberazione, la piazza nel centro storico di Rimini è stata intitolata ai Tre Martiri. Una via della città porta il nome di Adelio Pagliarani, del quale, presso l'ISMLI, è stata intitolata ai "Tre Martiri". Una via della città porta il nome di Adelio 16 agosto '44: tre martiri.