Antonio Baldo
Nel 1942 la sua famiglia era sfollata a Salzano (VE), e lì Baldo aveva cominciato con gli amici a discutere di politica. Quasi come naturale conseguenza, dopo l’8 settembre 1943 eccolo partigiano nella Brigata “Martiri di Mirano”. Assunto il nome di battaglia di “Fedele”, si batte contro i nazifascisti sino a che, nel settembre del 1944, è catturato. Incarcerato a Venezia, torturato e condannato a morte il ragazzo viene, invece, deportato nell’ex Cecoslovacchia, nel campo di lavoro di Aussing-Elbe. Diventerà così uno dei 100 mila civili italiani sfruttati dai nazisti come manodopera coatta. Riuscirà a sopravvivere alle fatiche e agli stenti e nel luglio del 1945 tornerà a Marghera, resa quasi irriconoscibile dal passaggio della guerra. Militante del PCI e poi del PDS sino all’adesione al Partito Democratico, Baldo oltre all’impegno nell’ANPI, ha fatto parte del direttivo dell’Auser di Marghera e, a Mestre, dell’Associazione mutilati ed invalidi di guerra. Nell’avantesto di uno dei suoi libri (ha pubblicato Ricordi di guerra di un diciassettenne- 1940-1945 e Vi racconto com’era Marghera), Antonio Baldo (che dopo la Liberazione ha lavorato per il Comune di Venezia), ha scritto: “Dimenticare il passato è come percorrere una strada al buio, senza un faro che la illumini”. Questo faro Baldo lo ha tenuto sempre acceso, come ha ricordato l’ANPI di Venezia, esprimendo alla moglie e ai figli la partecipazione al dolore per la sua scomparsa.