Antonio Banfi
Aveva approfondito i suoi studi filosofici in Germania e, dopo la Prima guerra mondiale, aveva insegnato ad Alessandria, partecipando della vita democratica di quella città, iscrivendosi alla Camera del lavoro e dirigendo la Biblioteca comunale. Ne fu allontanato dai fascisti, che giunsero nel 1921 a minacciarlo di morte. Ciononostante, nel 1922, Antonio Banfi pubblicò un saggio di adesione non dogmatica al marxismo dal titolo Gli intellettuali e la crisi contemporanea. Tre anni dopo fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce.
Passato dalla cattedra universitaria di Genova a quella di Milano, Banfi finì per formare una "scuola filosofica" che, conosciuta con il suo nome, influenzò non poco il crearsi di una coscienza antifascista tra gli studenti e gli intellettuali milanesi. È del 1941 l'adesione del filosofo al Partito comunista clandestino.
Subito dopo la destituzione di Mussolini, Banfi è promotore, con altri cattedratici, del Manifesto per la soppressione delle discriminazioni razziali e politiche e, dopo l'8 settembre 1943, è tra gli organizzatori della Resistenza, senza mai interrompere le lezioni universitarie che gli consentivano di mantenere uno stretto legame con gli studenti. Ecco così che il professore, presidente del CLN universitario, fonda un'associazione clandestina tra gli insegnanti, collabora con Eugenio Curiel alla fondazione del Fronte della Gioventù, e intanto scrive per l'Unità clandestina e per La nostra lotta.
Dopo la riconquista della libertà, Banfi fonda il "Fronte della cultura" (dal quale poi deriverà la nascita a Milano della "Casa della cultura"), e unisce all'impegno universitario quello politico. Dal V Congresso fa parte del Comitato centrale del PCI, dal 1948 è senatore della Repubblica, ma non abbandona gli studi che si concretizzano nella pubblicazione, nel 1950, del saggio L'uomo copernicano e, postumo, di La ricerca della realtà.