Antonio Tatò
Laureato in Legge a “La Sapienza”, nel 1939 Tatò aveva iniziato il suo impegno antifascista. Nel 1941 il sottotenente Tatò, dopo una licenza, non si ripresenta al suo reparto e milita clandestinamente nel Partito Comunista Cristiano e, con Pietro Ingrao e Lucio Lombardo Radice, lavora all’uscita dell’unico numero del giornale “Pugno chiuso”.
Nel maggio del 1943 è arrestato e ristretto a “Regina Coeli”, in attesa del processo al Tribunale speciale e al Tribunale militare. La caduta di Mussolini gli evita la sicura condanna a morte e, uscito dal carcere, Tatò riprende la lotta clandestina nel “Movimento dei cattolici comunisti” che, con l’occupazione nazifascista della Capitale, lo vedrà a nome del “MCC”, al comando della V Zona militare di Roma, che avrà anche un foglio (“Voce Operaia”) diffuso alla macchia.
Con Roma liberata, nell’agosto del 1944 Tatò contrae un matrimonio dal quale nasceranno quattro figli. È il 1945 quando Tatò, scioltosi il “Partito della Sinistra Cristiana”, passa al PCI e, con Palmiro Togliatti, lavora alla Commissione lavoro di massa. Eccolo poi, con Giuseppe Di Vittorio, nella CGIL, dove dirige il “Notiziario” dell’organizzazione unitaria e “Rassegna sindacale”.
È il 1968 quando Tatò costituisce e dirige l’Ufficio Studi del sindacato confederale; nel 1969 sarà chiamato alla direzione del PCI come capo dell’Ufficio stampa e segretario di Enrico Berlinguer. Nel 1987 fonda e dirige l’agenzia di stampa “Dire” e quando nel 1991 il PCI diventa PDS, è ad Antonio Tatò che Achille Occhetto affida la presidenza della Commissione di garanzia.
Troppo lungo sarebbe l’elenco degli scritti di Antonio Tatò; ricordiamo qui soltanto i tre volumi della biografia di Di Vittorio, pubblicati negli anni dal 1968 al 1971, e a cura di Francesco Barbagallo, “Caro Berlinguer”, pubblicato nel 2003 dall’Einaudi.