Arturo Felici
Il nonno, governatore della magistratura pontificia, era stato destituito da Pio IX perché aveva aderito alla Repubblica romana e Arturo ne aveva coltivato gli ideali di libertà. Aveva vent'anni quando trovò lavoro, a Trento, nella tipografia dove si stampava il giornale dei "popolari". Ci restò poco. Nel 1924 i fascisti distrussero gli impianti e Felici se ne tornò in Piemonte dove, a Cuneo, aprì in proprio una tipografia. Fu così che conobbe Bianco e Galimberti e strinse con loro un'amicizia basata sui comuni ideali antifascisti.
Artuto Felici - che nella clandestinità aveva aderito al movimento "Giustizia e Libertà" e che è stato tra i fondatori del Partito d'Azione - dopo l'8 settembre 1943 fu parte del gruppetto d'antifascisti che, in Valle Gesso, costituirono la prima banda partigiana "Italia Libera" dalla quale - dopo la fusione con analoga formazione costituitasi in Valle Grana con Detto Dalmastro - nacquero le Brigate di "Giustizia e Libertà" del Cuneese.
Tornato a Cuneo con incarichi d'organizzazione, Felici (nome di copertura "Panfilo"), finì per cadere nelle mani dei fascisti. Fu rilasciato, perché la polizia non riuscì a trovare prove contro di lui. Così Panfilo si portò nelle Langhe (con l'incarico d'ispettore regionale del Comando GL piemontese), dove fu tra gli organizzatori delle basi che, tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945, accolsero forti reparti giellisti provenienti dalle montagne cuneesi.
Dopo la Liberazione, Felici rappresentò il Partito d'Azione nel CLN di Cuneo e, quando il partito si sciolse, aderì al movimento di "Unità Popolare". Fu poi tra gli esponenti locali del Movimento dei partigiani della pace. Membro del Consiglio nazionale dell'ANPI, ha curato nella sua tipografia la pubblicazione di numerosi saggi sulla Resistenza nel Cuneese. Prima di morire, era diventato cittadino onorario di Cuneo per meriti partigiani. Il Comune gli ha poi intitolato una via.