Artuto Capettini
L'azione contro Resega, federale di Milano
Tra l'inizio di novembre e la fine di dicembre 1943 il 17^ distaccamento Gramsci che agisce a Milano, riesce a mettere a segno una trentina di colpi, causando ai nazifascisti la perdita di oltre una quarantina di uomini tra morti e feriti. Dal canto suo la stampa fascista, nell'evidente intento di sminuire la portata e le conseguenze della guerriglia urbana ormai in atto, si astiene da ogni commento, limitandosi a segnalare qualche aggressione ad opera di ignoti, finché l'uccisione del federale Aldo Resega non la obbliga ad accusare il colpo.
Il 17 dicembre 1943 un commando formato da Carlo Camesasca, Renato Sgobero, Vito Antonio La Fratta, Validio Mantovani tendono l'agguato mortale ad Aldo Resega in via Bronzetti angolo XXII Marzo.
La reazione fascista è immediata e rabbiosa. Il 19 dicembre vengono fucilati all'Arena otto antifascisti detenuti a San Vittore: Carmine Capolongo, Giuseppe Ottolenghi, Giovanni Cervi, Fedele Cerini, Lucio Gaban, Alberto Maddalena, Carlo Mendel, Amedeo Rossin.
Il 20 dicembre, in forma solenne, si svolgono i funerali di Resega. Le esequie sono congegnate in modo da trasformarsi in una grandiosa manifestazione di forza e di propaganda del fascismo repubblichino milanese: migliaia di camicie nere seguono il feretro attraverso le vie del centro.
Alle 10,30 in via Orefici, basta che Sergio Bassi e la sua squadra sparino alcuni colpi di pistola sul corteo perché la grande parata si risolva in una bolgia infernale: il feretro è abbandonato in mezzo alla strada e, nel fuggi fuggi generale, i fascisti aprono il fuoco per un quarto d'ora, mentre i gappisti possono allontanarsi indisturbati.
I primi arresti dei gappisti
Il 17° distaccamento però ha intanto incominciato ad incassare i primi colpi. La sera del 18 dicembre, mentre si sta recando a trovare la famiglia sfollata a Mortara (PV), Arturo Capettini incappa in uno dei tanti controlli disposti in seguito all'attentato a Resega: riconosciuto come antifascista viene arrestato. All'indomani è la volta del fratello fermato mentre tenta di traslocare il materiale esplosivo dal deposito di via Montesanto. Da quel momento tutti coloro che si recano al negozio di Capettini vengono catturati.
La testimonianza di Matilde Bottero Capettini
Nelle memorie della moglie Matilde Bottero Capettini si legge: «Arturo si guardò bene dal far coincidere il giorno delle nostre nozze con la data del 28 ottobre, giorno della marcia su Roma, di nefasta memoria. Il nostro matrimonio ci portò giorni felici anche se quando passava da Mortara Mussolini o il principe, Arturo doveva passare alcuni giorni in prigione. Sono nati Angelo e Vampa, noi ne eravamo orgogliosi, li amavamo e li adoravamo. Biciclette se ne vendevano molte, il nostro negozio si faceva sempre più bello. Ne volevamo uno più grande e l'abbiamo trovato a Milano, e qui ci siamo trasferiti con tutta la famiglia. Ma poi venne la tremenda guerra, con le tessere, la borsa nera e i bombardamenti. Bisognava sfollare, fare i pendolari, passare le notti a Mortara piuttosto che nei rifugi.
L'8 settembre 1943 Mussolini fu liberato dalla prigione del Gran Sasso. I tedeschi presero il comando ed invasero tutta la Penisola. Ufficiali e soldati italiani non volevano collaborare con i tedeschi: solo pochi fascisti e repubblichini formarono la Repubblica di Salò. Ebbero inizio le prime formazioni partigiane.
Arturo non era militare, si era unito al Comitato di Liberazione Volontari, vi aderiva con grande entusiasmo anche se conscio del pericolo cui andava incontro. Arturo aveva iniziato giovanissimo la lotta politica per il socialismo con i figli dell'onorevole Cagnoni, organizzando riunioni, facendo comizi nei diversi paesi della Lomellina. Per questo fu perseguitato dai fascisti e dovette emigrare in Francia e poi in Svizzera. Tornato, si mise a lavorare in proprio in un negozio di biciclette.
Avevano preso nomi di battaglia. Lui si chiamava Giuseppe, il ragioniere Poli, Gardena. Precauzioni risultate poi inutili. Mio cognato Cesare era arruolato nella contraerea e dopo l'8 settembre era tornato a casa ma doveva starsene nascosto, come tanti altri militari che non volevano collaborare.
A Milano, il 19 dicembre del 1943, venivano fucilati i primi otto partigiani fra i quali Capolongo; la sua compagna sarebbe stata poi con me in prigione a San Vittore.
Il 17 dicembre del 1943, a Milano, veniva ucciso Aldo Resega (segretario politico del Partito fascista) e a Mortara veniva ferita una guardia sempre nello stesso giorno. Per questo i tedeschi arrestarono tutte le persone che tornavano da Milano e tra questi mio marito. Nella casa di Milano erano nostri ospiti due greci sbandati, mandati dal Comitato di Liberazione.
In negozio c'erano sacchi di farina, scatolame, scarponi, radio, indumenti destinati ai partigiani di San Martino e anche armi che Arturo voleva murare in un piccolo scantinato; sapeva che per questo c'era la fucilazione.
Gli amici del Comitato di Liberazione lo hanno rassicurato che sarebbero venuti il giorno dopo con un camion, portando via tutto. Ma gli avvenimenti precipitarono. Quella roba invece di andare ai partigiani la presero tutta i tedeschi. Dopo l'arresto, a mezzo di amici, dal carcere Arturo mandò un biglietto, dicendo di avvertire i due greci e di nascondere le armi di Milano.
Cesare ed io venimmo in bicicletta sino ad Abbiategrasso, poi proseguimmo in tram sino a Milano. Qui giunti si decise che il mattino seguente io aprissi il negozio mentre Cesare e i due greci, nascoste le armi, si sarebbero recati da qualche altra parte. Bisogna avvertire anche altri compagni di quanto era successo. Tutte le armi erano contenute in una cassetta di cm. 50 x 40 alta 50 cm.
Cesare, il più robusto, portò lui la cassetta. La portinaia di casa aveva la figlia sposata ad un fascista; avendo visto mio cognato scendere con i due greci, ha telefonato in questura. Eravamo in dicembre e alle 18 era buio, c'era l'oscuramento. In seguito alla telefonata uscirono due questurini; arrivati, il caso volle proprio mentre Cesare e i due greci stavano uscendo dal negozio, per nascondere le armi nella cantina dell'abitazione che si trovava di fronte al negozio.
Così sorpresi i due greci poterono fuggire, mentre a Cesare, anche perché la cassetta era pericolosa, non fu facile sbarazzarsene. Così lo presero e lo portarono in un bar lì vicino e, visto il contenuto della cassetta, lo mandarono alla sede della questura di via Copernico. Interrogato, picchiato, accusato di sabotaggio, gli presero le chiavi di casa. Fu così che verso le due di notte mi trovai in casa cinque repubblichini armati che mi fecero scendere dal letto. Obbligata, dovetti vestirmi quasi in loro presenza. Avevo il biglietto di Arturo, lo misi furtivamente in seno, sperando di non essere perquisita. Minutamente perquisito fu l'appartamento e il negozio di biciclette.
Quello che sembrava essere il capo mi disse: “Vedete, per questa roba sarete fucilata voi e vostro marito entro tre giorni” e mi mollò un potente schiaffo. “Ma fucilatemi subito” risposi “so cosa potrà succedermi ora che sono in vostre mani”, risposi inconsapevolmente.
Era successo così, tutto all'improvviso, che quasi non riuscivo a rendermene conto e, sotto la minaccia dei loro fucili, fui portata alla questura di via Copernico. Per dormire c'era un tavolaccio di legno dove le cimici vi passeggiavano. Con altre persone arrestate mi coricai sul tavolaccio. Il giorno dopo si svolgeva il funerale di Aldo Resega. Tutti i repubblichini si armarono di pistole, moschetti e bombe a mano.
Si sentirono diversi spari. Tornati dal funerale, i fascisti ci portarono da via Copernico a San Vittore in tram. Eravamo una decina di prigionieri e sotto la minaccia delle armi ci veniva proibito di parlare con noi. Vidi Cesare con gli occhi pesti, una mascella gonfia e segni di frustate sanguinanti sul suo volto sfigurato.
A San Vittore (si doveva consegnare tutto, soldi, documenti, anelli) entrai a far compagnia a una ragazza ventenne al terzo raggio.
Dopo una settimana ricevetti un biglietto di mio marito, mi diceva di star tranquilla, lui era al secondo raggio. Dal carcere di Mortara era stato trasferito a quello di Milano e lì picchiato e torturato. Si doveva vendicare Resega, per questo motivo vennero scelti Arturo Capettini, Cesare Poli, Gaetano Andreoli, Angelo Scotti. Dopo un sommario processo vennero fucilati il 31 dicembre 1943 al Poligono di Milano».
Capettini, Poli e Andreoli vengono fucilati il 31 dicembre 1943 alle ore 12,30 al Poligono di Tiro della Cagnola da un plotone della Muti. Scotti, torturato all'Albergo Regina, è “graziato” dai nazifascisti, ma viene ucciso in una camera a gas nel Castello di Hartheim l'8 luglio 1944.In via Montesanto 10 dove sorgeva il negozio di biciclette di Arturo Capettini, c'è una lapide. Questo il testo:
ANTESIGNANO E PIONIERE
DELLA LOTTA PARTIGIANA
ARTURO CAPETTINI
PROFETIZZÓ IN QUESTA OFFICINA
I CONTRASTATI IDEALI E LE GESTA CLANDESTINE
PER UNA ITALIA LIBERA E DEMOCRATICA
LA SEZIONE COMUNISTA
“FRATELLI CAPETTINI”
ACCOMUNANDO NEL RICORDO I MARTIRI
ANDREOLI-POLI-SCOTTI
NEL SECONDO ANNIVERSARIO
DEL LORO OLOCAUSTO 31-12-1943 - 31-12-1945