Beniamino Cobianchi
Aveva appena concluso i tre anni delle scuole medie e voleva "andare con i partigiani". Inutili le preghiere dei genitori per dissuaderlo; inutili anche gli argomenti usati, allo stesso scopo, dai dirigenti del CLN verbanese, ai quali il ragazzino si era rivolto. Ma quando si decise l'assalto ad una caserma della GNR, si pensò che la presenza di un infiltrato nel fortilizio avrebbe potuto facilitare l'azione. Quando Beniamino chiese ai fascisti di essere arruolato, la sua offerta fu prontamente accolta e, la notte dell'attacco partigiano, sul finire del marzo 1945, di guardia alla caserma era proprio quel bambino in divisa della GNR. Fiero del successo dell'impresa, Beniamino Cobianchi, smessa l'odiata uniforme, voleva andare ad Intra, dove stavano gli ignari genitori, per raccontare che era diventato, loro malgrado, un vero partigiano. Non li vide mai più. Catturato a Cavandone dai fascisti di un reparto della "Ravenna", fu sottoposto a brutali interrogatori. Ma il ragazzino non parlò. Era ormai in fin di vita, quando fu trascinato presso la cinta del piccolo cimitero e passato per le armi. Ottanta fori di proiettile furono trovati nel corpo del partigiano quattordicenne, che poche ore dopo il ritrovamento, era ricoperto di fiori di campo, portati dai compagni di scuola. Oggi, sul lato esterno destro del cimitero di Cavandone, una lapide ricorda il sacrificio del ragazzino. Un'altra lapide, con una piccola foto, ne tramanda la memoria a Suna (oggi nella provincia Verbano-Cusio-Ossola), in Via dei Partigiani.