Carlo Leone Mendel
Figlio di Carlo, nato a Pola nel 1881, e Maria Becker, frequenta il liceo ad Alessandria d'Egitto, dove il padre si era trasferito per lavoro e torna in Italia nel 1932. In quell'anno viene ammesso alla Scuola Normale di Pisa, il 23 novembre 1937 consegue la laurea in Fisica all'Università cittadina con il massimo dei voti con una tesi sperimentale, relatore il prof. Luigi Puccianti, sulla propagazione della luce nei liquidi sottoposti ad ultrasuoni.
Il 1° gennaio 1938 vince il concorso di ricercatore all'Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris di Torino e comincia a lavorare con Giancarlo Vallauri e Romolo Deaglio, ma il 31 dicembre deve lasciare l'incarico in seguito alla promulgazione delle leggi razziali. Ritornato per un breve periodo in Egitto per consultarsi con la famiglia che ancora lì risiede, viene battezzato. Rientra in patria nel 1939; si stabilisce a Milano, in via Viminale 5, e lavora alla Magneti Marelli dal 1940 al 1941 come ricercatore e alla Mial dal 1941, dedicandosi allo studio e alla progettazione di strumenti di misura, in particolare oscillatori e oscillografi.
Dopo l'armistizio aderisce ai primi gruppi partigiani milanesi. Il 28 ottobre viene arrestato dai tedeschi, su delazione di una spia, un infiltrato che ha agito come provocatore esortando a raccogliere armi e poi denunciando tutti. Mendel è trovato in possesso di armi e radiotrasmittenti: stava costruendo il tredicesimo apparecchio per curare i contatti con le prime formazioni della Resistenza in montagna. Detenuto nel carcere di San Vittore con l'accusa di attività antifascista, il 19 dicembre 1943 insieme ad altre sette persone (Carmine Campolongo, Fedele Cerini, Giovanni Cervi, Luciano Gaban, Alberto Maddalena, Beppe Ottolenghi, Amedeo Rossin) è condannato a morte dal Tribunale militare straordinario costituito dal generale Solinas, su ordine del ministro dell'interno della Rsi Guido Buffarini Guidi e del capo della Provincia Oscar Uccelli. Secondo la sentenza, gli otto prigionieri sono “responsabili di omicidi, di rivolta contro i poteri dello Stato, d'incitamento alla strage, detentori di armi e munizioni, di apparecchi radio trasmittenti e di materiale di propaganda comunista”. La sentenza viene eseguita all'Arena civica di Milano alle ore 17 di quello stesso giorno. L'eccidio è una rappresaglia per l'azione gappista in cui il dì precedente era morto il federale di Milano Aldo Resega
La predeterminazione della condanna a morte è dimostrata dal fatto che l'accesso all'Arena fu bloccato al pubblico da reparti militari già alcune ore prima della sentenza del tribunale militare, come decretò nel 1946 il pronunciamento della Corte d'Assise (nota a pagina 40).
In ricordo dell'uccisione, all'Arena furono posti un cippo e una lapide.