Cesare Pavese
Figlio di un cancelliere di Tribunale, aveva avuto a Torino tra i professori di Liceo Augusto Monti, che l’aveva introdotto nella cerchia dell’antifascismo subalpino. Laureatosi in Lettere con una tesi su un poeta americano, che gli fu contestata dagli accademici fascisti di quei tempi, Pavese non volle iscriversi al PNF e si guadagnò da vivere dando lezioni private e traducendo dall’inglese testi di importanti autori.
Nel 1934, dopo l’arresto del suo amico antifascista Leone Ginzburg, la Casa editrice Einaudi gli offrì di lavorare alla rivista “La Cultura”, ma quando si preparava a lasciare quell’incarico per affrontare un concorso per l’insegnamento di latino e greco, l’intellettuale antifascista fu arrestato dalla polizia. Gli avevano trovato in casa (dove ospitava Tina Pizzardo – una comunista che era stata in relazione con Altiero Spinelli e che conservava una lettera che il precursore dell’unità europea le aveva scritto quando ancora il loro rapporto non si era interrotto), un documento antifascista.
Per quella lettera non sua, Cesare Pavese fu condannato a tre anni di confino, che trascorse a Brancaleone Calabro. Vi restò soltanto un anno, perché fatto atto di sottomissione al regime poté tornare a Torino a riprendere il lavoro all’Einaudi.
Nel 1943 lo scrittore, che era già stato notato dalla critica letteraria, si trasferì a Roma ma l’8 settembre 1943 risalì a Nord e, senza fermarsi a Torino occupata dai nazifascisti, sfollò nelle Langhe, a Serravalle di Casale Monferrato, la cui atmosfera contadina gli avrebbe ispirato uno di suoi romanzi brevi più significativi: “La casa in collina”.
Dopo la Liberazione lo scrittore si iscrisse al PCI e, per qualche tempo, collaborò all’edizione piemontese de “l’Unità”, che aveva allora come redattore capo il suo amico Davide Lajolo.
Pavese continuò a pubblicare libri che ebbero un grande successo, anche se dietro lo schermo dello scrittore politicamente impegnato si celava una personalità fragile e sofferente, come avrebbe dimostrato il suo suicidio in una camera di albergo a Torino, compiuto per la fine del rapporto sentimentale con l’attrice americana Constance Bowling, seguita a quella con Romilda Bollati di Saint Pierre, alla quale aveva dedicato gli ultimi versi di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.
Molte le opere postume di Cesare Pavese (“La bella estate” vinse nel 1952 il Premio Strega), che si possono trovare nel Centro Studi che, nel 1973, gli ha intitolato il Comune di Santo Stefano Belbo. L’attività del Centro si interruppe nel novembre del 1994 per l’alluvione che colpì la zona, ma nel cinquantenario della scomparsa del grande scrittore una Fondazione è stata costituita per tramandarne la memoria e le opere.
Molte biblioteche in ogni parte d’Italia sono intitolate a Pavese. Nel 2000 a Torino gli hanno intitolato la Biblioteca Civica.
Nel 2002 i resti di Pavese, che originariamente erano nel Cimitero di Torino, sono stati trasferiti in quello di Santo Stefano Belbo; un busto dello scrittore si trova nel cortile della scuola del suo paese e la lapide sotto cui riposa reca la scritta: “Ho dato poesia agli uomini”.