Don Giovan Battista Bobbio
Nei giardini di Chiavari, liberata nel 1945, come le altre città del golfo del Tigullio, dai partigiani della Brigata d'assalto Garibaldi "Coduri", c'è un busto che raffigura don Bobbio. Un'epigrafe, composta dal partigiano Giovanni Serbandini, ricorda: "Quando gli chiesero - al poligono di tiro - se voleva pregare prima di morire - ai nazifascisti rispose - «Io sono già a posto con la mia coscienza ma pregherò per voi» - e cadde con le mani in croce - Don Bobbio - parroco di Valletti e della Coduri - a testimoniare - con serena fermezza - cristiana e partigiana - il valore di un'intesa - salvatrice della patria e dell'umanità".
Don Giovan Battista Bobbio era diventato parroco di Valletti, un paese allora poverissimo, nel 1939. Dopo l'8 settembre del 1943 divenne amico e collaboratore di quei giovani che, sull'Appennino ligure, avevano scelto la strada della lotta per la libertà, dando un gran contributo al lavoro per la costruzione di una nuova vita democratica (giunte popolari, vettovagliamento dei partigiani e della popolazione sulla base della solidarietà, scuole, ecc.). Il sacerdote, diventato cappellano della Brigata "Coduri", non solo assistette spiritualmente i partigiani, ma contribuì a rafforzarne i ranghi, facendo da intermediario per portare soldati della Divisione alpina repubblichina "Monterosa", che presidiava il passo di Velva e il litorale, nelle file della Resistenza. Riuscì persino a far passare con i partigiani, a Torriglia, l'intero Battaglione "Vestone". Era il 4 novembre del 1944.
Poco meno di due mesi dopo, il rastrellamento in grande stile, che i nazifascisti misero in atto con lo scopo principale di catturare il prete partigiano. Don Bobbio, seppure consigliato di allontanarsi, non volle abbandonare i suoi parrocchiani. Quando i nazifascisti arrivarono a Valletti, presero d'assalto la canonica, la devastarono e poi la diedero alle fiamme come gran parte del paese. Il sacerdote, pur già nelle mani dei fascisti, riuscì ancora a confortare due giovani paesani che sarebbero stati di lì a poco eliminati sul posto. Venne poi trascinato via per la montagna, lasciato per un'intera notte legato ad una palizzata mentre turbinava la neve e poi, da Santa Maria del Taro, trasportato in autocarro a Chiavari. Qui fu tenuto per due giorni in totale isolamento, prima che il suo calvario si concludesse al poligono di tiro, con la fucilazione senza processo.