Elisabetta Armano
Cattolica e antifascista, la famiglia Armano rappresenta un punto di riferimento per la Resistenza nell’alto padovano: sin dal ’43 la loro casa all’interno della cinta medievale di Cittadella, in via Dell’Asilo n° 5, è centro di confluenza del movimento partigiano, dove sono organizzati e inquadrati i reparti per le zone di appartenenza delle province di Padova, Treviso, Vicenza e Belluno e vi si ritrovano personaggi come Alfredo Pizzoni, le M.O. Giovanni Carli, Giacomo Chilesotti, Giacomo Prandina, Primo Visentin; in seguito, dal febbraio all’ottobre ’44, in accordo con i capi missione alleati, costituisce il centro operativo per le azioni di sabotaggio di ponti, strade e ferrovie sull’asse Verona-Trieste.
Elisabetta, figlia di Francesco e Attilia Pierobon, svolgeva funzioni di supporto alle attività dei fratelli – Giuseppe, comandante delle Brigate cattoliche “Damiano Chiesa”, e Antonio, superstite della Divisione Acqui e componente della 1ª Brigata – ed era utilizzata anche come staffetta. Dopo la repressione nella zona del Monte Grappa, il 23 ottobre 1944 un poliziotto fascista scortato da elementi della Gestapo e delle SS fa irruzione a casa Armano per arrestare Giuseppe, il quale riesce a bloccare la porta e a impedire l’ingresso dei nazisti, ingaggia una violenta colluttazione col milite, aiutato dalla madre e dalla sorella, lo stordisce e si dà alla fuga attraverso i tetti.
L’appartamento è perquisito, suppellettili e preziosi trafugati, mamma e figlia condotte a calci e sputi nelle prigioni del comando tedesco di Ca’ Dolfin di Rosà (Vicenza). Attilia è rilasciata dopo una quarantina di giorni, Bettina invece viene trasferita al carcere di Bassano del Grappa. Nel corso della prigionia subisce bastonature e colpi di verga, ferite nelle carni con strumenti acuminati, una finta impiccagione e altre sevizie.
Il 9 novembre, dopo un’evasione molto probabilmente simulata, è rinvenuta in aperta campagna seminuda, priva di coscienza e sotto falsa identità. Accolta agli Istituti Pii Riuniti di Castelfranco Veneto e poi trasferita all’ospedale psichiatrico Sant’Artemio di Treviso, è riconosciuta come Elisabetta Armano solo a giugno del ’45 e riconsegnata alla famiglia. La diagnosi delle sue condizioni rileva una “psicosi tossica endogena da esaurimento per patimenti protratti” che lascerà tracce indelebili e incurabili nel corpo e nell’animo di Bettina, precocemente e per il resto della vita segnata da schizofrenia in fase demenziale, riconosciuta dalle commissioni mediche come direttamente dipendente dalle torture inflitte.
Grande invalida di guerra, nel 1956 le è riconosciuta la Croce al Merito per l’attività partigiana; in occasione del 70° della Liberazione, il fratello minore Antonio ha chiesto al Ministero della Difesa l’attribuzione a Elisabetta della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. La storia resistenziale nel territorio cittadellese è ripercorsa nel volume Ritratto di famiglia del Primo e Secondo Risorgimento Patrio - Memorie di Antonio Armano, superstite di Cefalonia e partigiano (Ed. Biblos, 2014), scritto dall’autore all’età di 93 anni.