Elsa Oliva
Era nata in una famiglia antifascista (quarta di sette fratelli e sorelle), che si era trovata in particolari difficoltà allorché il padre, nel 1930, aveva perso il lavoro perché non voleva iscriversi al Fascio. Elsa poté frequentare soltanto la quarta elementare e, a otto anni, fu messa "a servizio". Ragazzina irrequieta, aveva solo 14 anni quando, con il fratello Renato, si allontanò di casa e se ne andò in Valsesia. Poi si trasferì ad Ortisei e si mise a lavorare in un laboratorio artigiano di pittura su legno. Elsa non nascondeva le sue idee e fu così che fu presa di mira dalla polizia, tanto che ritenne più conveniente andarsene in un centro più grande. A Bolzano riuscì a farsi assumere all'Anagrafe del Comune, dove rimase fin dopo l'armistizio. Fu quello il momento dell'impegno totale nella Resistenza. Elsa partecipò alla difesa della caserma di Bolzano contro i tedeschi, organizzò la fuga di militari internati dagli occupanti, procurò certificati falsi a molti soldati perché potessero sottrarsi alla cattura, poi distrusse l'archivio dell'Anagrafe perché non restassero tracce del suo operato. Sino al novembre del 1943, la ragazza partecipò coraggiosamente, con gli antifascisti locali, ad azioni di sabotaggio contro i tedeschi, ma finì per essere arrestata. Era in viaggio per Innsbruck, dove avrebbero dovuto processarla, quando riuscì a fuggire e a raggiungere poi, fortunosamente, Domodossola dove i suoi si erano nel frattempo trasferiti. Ricercata dalle SS, nel maggio del 1944 la ragazza si unì, come infermiera, ai partigiani della 2a Brigata della Divisione "Beltrami", ma presto divenne partigiana combattente. Nell'ottobre ecco che Elsa lascia la "Beltrami". Vuole raggiungere un altro fratello, Aldo, che milita nella "Banda Libertà" e che sarebbe stato trucidato due mesi dopo dai fascisti a Baveno. Di nuovo Elsa Oliva cambia formazione. Nella Brigata partigiana "Franco Abrami" della Divisione "Valtoce", che ha la sua base sul Mottarone, le affidano il comando di una squadra chiamata "Volante di polizia" e che presto, dal nome di battaglia di Elsa, sarà chiamata "Volante Elsinki". Nello stesso giorno, l'8 dicembre 1944, dell'uccisione del fratello ("Ridolini" era il nome di battaglia di Aldo Oliva), Elsa è catturata dai fascisti, che la portano in una loro caserma di Omegna. La ragazza è certa che la fucileranno e decide quindi di simulare il suicidio. Ha ingerito un gran numero di compresse di sonnifero ed è portata in ospedale. Una lavanda gastrica e, prima che i fascisti tornino a riprendersela, con l'aiuto di una suora e di un prete, Elsa riesce a fuggire. Ritornata tra i partigiani della "Valtoce", continuerà la lotta armata sino alla Liberazione. Per questo, alla smobilitazione, le sarà riconosciuto il grado di tenente. Nel dopoguerra Elsa Oliva si è impegnata politicamente sino agli anni '70, quando fu eletta consigliere comunale di Domodossola come indipendente in una lista del PCI. Si staccò dal partito poco dopo, non aderendo più, ufficialmente, a nessuna formazione politica. Lasciò anche l'ANPI e si iscrisse all'Associazione Volontari della Libertà (di cui fu vicepresidente) aderente alla FIVL. Oltre a suo libro più noto, Ragazza partigiana, Elsa Oliva ha pubblicato anche una piccola raccolta di racconti dal titolo La Repubblica partigiana dell'Ossola e altri episodi. È uscito postumo, nel 1996, il suo racconto autobiografico Bortolina. Storia di una donna, ed. Gruppo Abe. Una testimonianza di Elsa Oliva si trova anche nel libro di Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina, pubblicato nel 1975 da "La Pietra" e ripubblicato nel 2003 dalla "Bollati Boringhieri" di Torino col titolo La Resistenza taciuta - Dodici vite di partigiane piemontesi.