Enrico Romolo Veneroni
Inquadrato nel 90° Reggimento di Fanteria “Salerno”- Divisione Cossiera, Enrico Romolo Veneroni, per tutti Romolo, viene inviato nell’allora URSS nella tarda primavera del 1942. Al di là della propaganda di regime, i comandi militari dell’Asse hanno già chiare le difficoltà della campagna di invasione di Hitler e Mussolini.
A fine luglio le truppe italiane sono trasferite sul Don. Si combatte localmente lungo un fronte di 270 di chilometri, i morti italiani sono centinaia e bisogna seppellirli. Veneroni fa quel che può: sceglie un terreno, lo divide con uno steccato, scava le fosse con una vanga motorizzata facendosi aiutare da una ventina di prigionieri russi. In quei giorni conosce il futuro premio Nobel per la medicina, Renato Dulbecco, responsabile del servizio sanitario della 5ª Divisione Fanteria "Cosseria.
Per il 3 novembre 1942 è annunciata al campo militare la visita del generale dell’Armir, Italo Gariboldi. Romolo decide di mostrare l’orrore della guerra e la condizione dei militari italiani. Sceglie di non seppellire il corpo di un affezionato compagno d’armi, Armando Assalini, carbonizzato dopo essere saltato su una mina. Il generale resterà sbigottito e a quel punto ammetterà l’inaffidabilità della collaborazione tedesca: “Dietro la Divisione Cossiera non ci sono i carri armati promessi”. La grande offensiva sovietica arriva il 10 dicembre 1942, la battaglia dura sette gioni: per i soldati italiani è una carneficina. Comincia la tragica ritirata. Veneroni riesce a raggiungere la città di Voroshilovgrad insieme a una ventina di “sbandati”. Poi in cinque affronteranno il lungo viaggio per tornare in Italia.