Ettore Ruocco
Figlio di un ufficiale mutilato e decorato, Ettore Ruocco, dopo essersi iscritto al primo anno d'ingegneria a Torino, decise di lasciare il Politecnico e di intraprendere la carriera militare. Concluso il corso, era ancora in attesa della nomina a sottotenente e si trovava a Ceres (Torino), dove era sfollata la sua famiglia, quando sopravvenne l'armistizio. Ruocco decise subito di organizzare una formazione partigiana, raggruppando militari sbandati presenti in Valle di Lanzo. Con pochi uomini, il giovane condusse a segno molti colpi di mano contro i nazifascisti. Rimasto ferito in uno scontro, si portò a Torino e per breve tempo, nel dicembre del 1943, entrò a far parte dell'organizzazione clandestina, formata da ufficiali, costituita dal generale Raffaello Operti. L'attendismo di questo militare convinse Ruocco a raggiungere la Val Casotto e ad aggregarsi alle formazioni di Enrico Martini Mauri, assumendo il comando di quella che fu chiamata la "Squadra di ferro". Nel marzo del 1944, durante un pesante rastrellamento compiuto dai tedeschi, il giovane comandante partigiano tenne testa per tre giorni con i suoi uomini ai nazifascisti. Era sfuggito all'accerchiamento, quando si accorse dell'assenza di un suo fratello, pure lui partigiano. Tornò indietro per rintracciarlo e cadde in mano ai rastrellatori. Per un mese, rinchiuso in una cella, sottoposto a tortura non parlò. Per non compromettere i famigliari, Ettore Ruocco non rivelò ai suoi aguzzini neppure il proprio nome. Sul muro della segreta scrisse con il proprio sangue, come una premonizione, parafrasando Dante "Perdete ogni speranza o voi che entrate". Fu condannato a morte e fucilato con gli ufficiali Domenico Quaranta, Innocenzo Contini e Pietro Augusto Dacomo, tutti decorati di Medaglia d'oro.