Ferdinando Boilini
Richiamato alle armi all’inizio della Seconda guerra mondiale era tornato a casa nell’agosto del 1943. Il 3 aprile dell’anno successivo entrò nella Resistenza col nome di battaglia di “Barbanera”.
Arruolato nella 33ma Brigata Dragone come comandante del Battaglione “Rovina”, Boilini operò con i suoi partigiani prevalentemente sull’Appennino modenese, dove partecipò alla liberazione dei paesi della zona e alla costituzione della “Repubblica di Montefiorino”.
Se ne parla nel libro “I reparti di Barbanera” edito da Iaccheri editore in Pavullo (MO) e nel libro di Ermanno Gorrieri “La Repubblica di Montefiorino”.
Terminata la guerra, dopo aver frequentato nel 1947 il Corso di formazione di Nettuno, Boilini entrò a far parte della Polizia di Stato e nel 1948, assegnato alla Polizia ferroviaria, fu trasferito a Milano.
L’anno successivo con la politica di “normalizzazione” perseguita dal ministro Scelba, Boilini, sulla base della denuncia di un fascista di Lama Macogno, fu sospeso dal servizio. Nel 1950 la Procura di Bologna dichiarò non doversi procedere per amnistia contro di lui e alcuni suoi compagni per “estinzione dei reati”. Ma l’amnistia non avrebbe restituito a Boilini l’incarico nella polizia e lui la rifiutò, continuando la battaglia legale perché fosse riconosciuta la sua innocenza.
Per 36 mesi fece i più svariati mestieri per sopravvivere con una famiglia di quattro persone, finché non fu prosciolto completamente da ogni accusa.
Ancora oggi a Lama Macogno ricordano “Barbanera”, che ha voluto essere sepolto nel suo paese di origine, come un uomo che ha rappresentato gli ideali di libertà e giustizia sociale che hanno animato un’intera generazione di uomini e donne che, in un frangente storico drammatico, seppero da che parte schierarsi.
(l.b.)