Gino Scaramucci
Di famiglia numerosa e poverissima, poté andare a scuola sino alla quarta elementare, per lavorare assai presto come manovale nelle cave della zona di Gubbio. Nel primo dopoguerra, per trovare lavoro, fu costretto ad emigrare. Si trasferì in Lussemburgo e vi lavorò in miniera, sino a che fu espulso per aver sviluppato un'organizzazione di emigrati, dopo aver aderito al Partito comunista.
Scaramucci riuscì a trovar lavoro in Belgio, ma anche da quel Paese dovette presto trasferirsi in Francia. A Parigi l'operaio italiano divenne collaboratore del Centro estero del PCI e nei primi anni Trenta fu inviato in Unione Sovietica. Due anni di "Scuola leninista", il rientro in Francia e poi il ritorno, sotto falso nome, in Italia per organizzarvi la lotta antifascista.
Nel 1933, Scaramucci finisce nelle mani della polizia. Processato, è mandato al confino per cinque anni, prima a Ponza poi a Ventotene. Ma cinque anni non bastano: ritenuto "politicamente pericoloso", l'operaio comunista può riacquistare la libertà soltanto con la caduta del fascismo.
Dopo l'armistizio Scaramucci prende parte alla lotta di liberazione, militando nella Resistenza romana. Poi è inviato nel Ternano e in Abruzzo, dove partecipa alla liberazione dell'Aquila. Nel secondo dopoguerra Scaramucci - di quest'operaio comunista parla Giorgio Amendola nel libro L'Isola - è stato ispettore della Direzione del PCI, segretario della Federazione comunista ternana e, per tredici anni, presidente dell'Amministrazione provinciale di Perugia.