Giorgio Braccialarghe
Figlio di Comunardo (che era stato garibaldino, durante la guerra greco-turca, nel 1897), nel 1932 è costretto a emigrare in Argentina per sottrarsi, lui anarchico, alle persecuzioni del regime. La guerra civile di Spagna lo vede (a capo degli "arditi"), tra i combattenti delle Brigate Internazionali, dove diventa aiutante di Randolfo Pacciardi. Quando i miliziani antifranchisti sono costretti al ritiro, Braccialarghe passa in Francia, dove è internato nel campo del Vernet. Evaso nei giorni dell'invasione tedesca, riesce a tornare in Argentina e qui mette a punto un piano (fallito), per impedire che Mussolini si allei ai nazionalsocialisti di Hitler. Arrestato dalla polizia collaborazionista francese e consegnato a quella fascista, finisce al confino a Ventotene, dove aderisce al "Manifesto" di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni per l'unità dell'Europa. Liberato in concomitanza dell'armistizio, Braccialarghe si porta a Roma e, alla testa della "Brigata Mazzini", si batte contro gli occupanti nazifascisti. Dalla Capitale raggiunge, paracadutato, le Alpi Apuane, dove coordina le prime formazioni partigiane operanti nella zona di Pistoia. Dopo la Liberazione si adopera per il successo del referendum che abolisce la monarchia e, con l'avvento della Repubblica, diventa ambasciatore italiano in Brasile prima e poi console in Argentina. Tra i suoi libri: Nelle spire di Urlavento. Il confino di Ventotene negli anni dell'agonia del fascismo, pubblicato a Firenze nel 1970, e Diario spagnolo, uscito a Roma nel 1982.