Giovanbattista Bitto
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale era stato mandato in Jugoslavia, come sottotenente degli Alpini dell’artiglieria da montagna. Dopo l’annuncio dell’armistizio era riuscito a tornare in Italia e a raggiungere la sua casa di Montaner, dove col parroco del suo paesino (Don Giuseppe Faè, soprannominato “don Galera”), aveva cominciato ad organizzare la lotta ai nazifascisti. Il 26 marzo 1944, dopo l’arresto del sacerdote, Bitto (che aveva scelto come nome di battaglia quello di “Pagnoca”) era salito con altri giovani del luogo sull’Altopiano del Cansiglio, costituendo quello che sarebbe presto diventato un battaglione, poi una brigata e infine il Gruppo Brigate “Vittorio Veneto”. Al loro comando “Pagnoca” riuscì, nell’estate del 1944, a ricacciare dall’Altopiano i nazifascisti, che avevano sferrato un imponente rastrellamento, ma non insistette in una sanguinosa resistenza ad oltranza. Con i suoi garibaldini scese in pianura e tornò sul Cansiglio nel gelido inverno 1944-45 per tornare poi a valle alla Liberazione, alle testa dei combattenti del battaglione “Saponello”e della brigata “Cairoli”, riuscendo a bloccare i tedeschi, in ritirata da Conegliano verso la Germania e, soprattutto, riuscendo ad evitare che seminassero distruzione e morte. Conclusa la lotta col grado di vice comandante della Divisione Garibaldi “Nino Nannetti” (il valoroso comunista caduto in Spagna combattendo contro i franchisti nelle Brigate Internazionali), “Pagnoca” fu nominato questore di Treviso. Decorato ben cinque volte per il contributo dato alla lotta di Liberazione e insignito della “Bronze Star Medal”, nel dopoguerra Giovanbattista Bitto si è sempre impegnato in difesa dei valori della Resistenza. Si deve a lui, tra l’altro, la fondazione, a Vittorio Veneto nel 1980, di quell’Istituto Storico della Resistenza.