Giovanni Negro
Il 27 ottobre del 1943 aveva lasciato la sua casa di Torino, dove allora abitava, ed era entrato col nome di battaglia di “Jean della Val Varaita” (poi mutato in quello di “Negrito”) nella 181ma Brigata Garibaldi.
Nel gennaio del 1944 Negro (“partigiano di collina e di montagna”, come è stato definito), è già al comando di un distaccamento della “Brigata Belbo” della II Divisione autonoma, nella quale avrebbe combattuto i nazifascisti sino al giugno del 1944, quando era stato catturato e deportato dai tedeschi in un Lager presso Norimberga.
Il 17 aprile del 1945 Giovanni Negro, sopravvissuto alla deportazione, era riuscito a fuggire dal campo di prigionia con altri compagni di varia nazionalità ed era tornato in Italia. Debilitato nel fisico (fu riconosciuto invalido di guerra), Negro ha dedicato la sua vita ai ricordi della guerra partigiana e della deportazione. Oltre all’attività nella “Rosa Bianca”. Giovanni Negro, in tutti questi anni si è sempre impegnato perché non andasse perduta la memoria della lotta antifascista, con conferenze nelle scuole, e con l’adesione ad ogni sorta di iniziativa volta a non far dimenticare.
Tanto per ricordarne alcune, che lo hanno avuto protagonista: nel 1988 la consegna al console italiano in Argentina della Mostra itinerante “Antifascismo, Resistenza e Deportazione”; la realizzazione del video “L’urlo soffocato. Sette vite spezzate nella Langa fenogliana”; la stampa del libro “La domenica che anche Dio stava nascosto”, sintesi di una laboriosa ricerca sugli eccidi compiuti dai nazifascisti durante i rastrellamenti del novembre 1944.
Tra i contributi di cui Giovanni Negro era particolarmente orgoglioso ricordiamo infine l’intervista registrata il 17 febbraio 1983 da Federico Cereia e Cesare Manganelli, ricercatori dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo: vi si diceva del partigiano Luigi Bindello, detto “Pitros”, catturato con Giovanni Negro e altri patrioti il 20 giugno 1944 ad Alba e ucciso dai tedeschi a Benevello (CN).