Giuseppe Di Vittorio
È stato certamente il maggiore e più seguito, dirigente sindacale italiano del XX secolo. Rimasto orfano quando non aveva ancora otto anni (suo padre, bracciante, morì sul lavoro), "Peppino", come veniva affettuosamente chiamato, conobbe subito la durezza dello sfruttamento del lavoro bracciantile. A 12 anni il ragazzino era membro del sindacato dei contadini; a 13 era già nel direttivo della Lega; a 16 fondava il Circolo giovanile socialista di Cerignola. Era il 1910 quando Di Vittorio veniva eletto segretario della Federazione giovanile del PSI pugliese. L'anno dopo si era già schierato col sindacalismo rivoluzionario e, nel 1914, era alla testa dei moti della "settimana rossa" di Bari. Costretto a riparare in Svizzera, si sottopose, da autodidatta, a rigorosi studi sino a che, nel 1915, poté tornare a Cerignola e, poi, di lì partire per la Grande guerra. Gravemente ferito sull'Altipiano dei Sette Comuni nel 1916, dopo la guarigione, fu internato come "sovversivo" prima a Roma, poi alla Maddalena e a Palermo e, infine, per un anno e mezzo, in Libia. Al termine del conflitto, Di Vittorio torna a dirigere la Camera del Lavoro di Cerignola e poi quella di Bari. Sono gli anni dello squadrismo fascista foraggiato dagli agrari e, nell'aprile del 1921, il popolare dirigente dei lavoratori pugliesi finisce in carcere a Lucera. Ne esce perché è presentato, come candidato a deputato, dal PSI (partito al quale non era iscritto). Eletto, Di Vittorio sfida i fascisti di Cerignola, che gli avevano proibito l'accesso al suo paese natale, e continua a combatterli anche dopo la "marcia su Roma". A Bari è alla testa dei lavoratori che difendono la CdL, che verrà espugnata, non dai fascisti ma dall'Esercito. Gli squadristi tentano allora di portarlo dalla loro parte, offrendogli di entrare nei sindacati fascisti, ma Di Vittorio respinge sdegnosamente le loro offerte. Aderisce invece, nel 1924, al Partito comunista. Nel 1925 è di nuovo arrestato. Rilasciato nel 1926, per sfuggire alle Leggi eccezionali espatria clandestinamente, inseguito da una condanna a 12 anni di reclusione. Dal 1928 al 1930, Di Vittorio è a Mosca, dove partecipa alla direzione (era già stato segretario, in Italia, della "Associazione nazionale dei contadini poveri", promossa con Ruggero Grieco), della "Internazionale contadina". Quando passa in Francia, organizza a Parigi la Confederazione generale del lavoro e si dedica al rafforzamento del movimento antifascista tra gli emigrati italiani. Membro del Comitato centrale e dell'Ufficio politico del PCdI, nel 1934 Di Vittorio partecipa alla stipula del Patto d'unità d'azione tra comunisti e socialisti. Quando Francisco Franco attacca la Repubblica democratica spagnola, eccolo (col nome di Mario Nicoletti), combattere come commissario politico della XI e poi della XII Brigata Internazionale. Ferito a Guadalajara, trascorre la convalescenza in Francia, dove dirige il quotidiano La voce degli Italiani. Guarito, torna a combattere in Spagna. Alla fine della guerra civile, ecco di nuovo Di Vittorio in Francia, ad occuparsi de La Voce degli Italiani, sino a che il foglio non è soppresso dalle autorità dello Stato transalpino. Arrestato il 10 febbraio 1941, il sindacalista italiano è trattenuto dai nazisti, che lo consegnano poi alle autorità fasciste. In Italia Di Vittorio è incarcerato a Lucera e poi, il 24 settembre 1941, avviato al confino di Ventotene. Con la caduta di Mussolini, è il Governo Badoglio a nominare Di Vittorio commissario alle Confederazioni sindacali e ad affidargli la segreteria della Federazione nazionale dei lavoratori agricoli. Con l'armistizio, l'avvio della Resistenza, che vede, ancora una volta, il sindacalista pugliese in prima fila. È lui che tratta col generale Carboni per fornire di armi i patrioti nelle vana difesa di Roma; è lui che continua la lotta nella clandestinità. Alla liberazione della Capitale, nel 1944, il comunista Di Vittorio firma il Patto d'unità sindacale con democristiani e socialisti. Nasce così la CGIL, che Di Vittorio dirigerà sino alla morte. Presidente della Federazione sindacale mondiale, è il sindacalista pugliese (membro della Costituente, eletto deputato del PCI nel 1948 e nel 1953), che in Italia si batterà conseguentemente per il riscatto dei lavoratori e per la ripresa dell'economia; è sempre lui che varerà il "Piano del lavoro", che affronterà, con coraggio e spirito unitario, le scissioni seguite all'attentato a Togliatti, le crisi della sconfitta alla Fiat, del XX Congresso del PCUS, degli eventi drammatici di Polonia e d'Ungheria. Morirà sulla breccia, stroncato da un infarto (ne aveva superato un altro l'anno prima, ma non si era risparmiato), durante una riunione con gli attivisti sindacali lecchesi. Sulla sua vita e sulle sue battaglie, la RAI ha trasmesso, nel marzo 2009, il film Pane e libertà, del regista Alberto Negrin. La figlia Baldina e la nipote Silvia Berti lo avevano presentato, in anteprima, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Al grande dirigente sindacale italiano sono intitolati (oltre ad una Fondazione, che ha la sede centrale a Roma), circoli culturali, scuole, strade, piazze, sezioni di partito, ecc. Ricchissima anche la bibliografia su Giuseppe Di Vittorio.