Giuseppe Gaddi
Gaddi è operaio e giovanissimo si iscrive al partito comunista, divenendone dirigente. Nel 1928 viene condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a dieci anni e cinque mesi di prigione. Sconterà la condanna a Civitavecchia, nel carcere dove il regime destina i detenuti politici. Quando nel 1932 un'amnistia gli restituisce la libertà, Giuseppe trova rifugio a Mosca per poi raggiungere la Francia dove gli esuli operano per costruire l'opposizione antifascista. È redattore del quotidiano La voce degli italiani, scrive in francese libri sulla condizione dei lavoratori e sulle leggi razziali. Con l'invasione tedesca viene catturato dai nazisti e consegnato alla polizia fascista. Nuova pena è il confino, misura interrotta solo nel 1943 dopo la caduta del regime mussoliniano. Nel settembre, in seguito all'annuncio dell'armistizio, Gaddi è tra i promotori delle prime formazioni partigiane in Veneto, a Belluno. Col grado di tenente colonnello diviene Commissario Politico della Divisione Nino Nannetti, al comando di oltre quattromila uomini e donne combattenti in Cansiglio. Arrestato nuovamente, torturato, Gaddi viene deportato in un campo di lavoro in Germania. La Resistenza, tuttavia, opera anche all'interno dei lager e Giuseppe riesce a evadere, a rientrare in Italia e a riprendere il suo posto. Dopo la Liberazione dividerà il suo impegno civile tra l'attività di dirigente nel PCI (Segretario della Federazione di Padova e in seguito di Treviso) e quella di scrittore (autore di quasi venti libri di saggistica e storia, con Pietro Sacchi realizza l'Enciclopedia del fascismo e della Resistenza). Attento osservatore, Gaddi negli anni '70 pubblica opere sul neofascismo in Europa e sul pericolo di movimenti non sufficientemente contrastati né in Italia né all'estero. Per la grande competenza dirigerà la FIR, la Federazione Internazionale della Resistenza. Morirà a Berlino durante i lavori di un congresso della Federazione.