Giuseppe Rimbotti
Al momento dell'armistizio, come tenente dell'81° Reggimento Fanteria "Torino", era al comando di una sezione della Compagnia mortai reggimentale, distaccata in località Prevallo, nei pressi di Trieste. Mentre cercava di raggiungere il proprio reparto, impegnato contro i tedeschi, si scontrò con un gruppo di militari germanici che pretendevano di disarmarlo. Ne abbatté tre prima di essere, a sua volta, ferito. Catturato e condannato a morte, dopo che aveva rifiutato di consigliare al suo Comando di battaglione la resa, Rimbotti era in attesa del plotone d'esecuzione. Ma la situazione si capovolse e furono i tedeschi che dovettero arrendersi agli italiani. Il giovane ufficiale fu ricoverato all'ospedale militare di Gorizia, dove rimase sino al dicembre 1943. Era in via di guarigione, quando le autorità della appena costituita repubblichetta di Salò gli intimarono di riprendere servizio presso il 128° Reggimento di fanteria, al servizio degli occupanti. Rifiutando ogni collaborazione coi tedeschi, Rimbotti si diede alla macchia e, raggiunta l'Italia centrale, prese parte alla Guerra di liberazione come partigiano combattente. Dal luglio 1944 al luglio 1945 fu interprete presso un reparto inglese. Congedato nell'agosto del 1946, prese domicilio a Firenze. Qui organizzò la Sezione fiorentina dell'Associazione combattenti dell'Esercito italiano, divenendone presidente. In seguito, lasciato questo incarico, rimase nell'Associazione come presidente onorario nazionale. La motivazione della massima ricompensa al valor militare consegnata a Giuseppe Rimbotti dice: "Improvvisamente affrontato, mentre isolato cercava di raggiungere il proprio reparto impegnato in combattimento, da numerosi tedeschi che intendevano disarmarlo, ne abbatteva due a colpi di pistola. Ferito, non desisteva dal suo atteggiamento e ne abbatteva un altro. Disarmato da un colpo di fucile che gli strappava l'arma di mano, veniva catturato, ferito in più parti del corpo. Condannato a morte con giudizio sommario, all'offerta dell'avversario di aver salva la vita, a condizione che si recasse dal proprio comandante di battaglione a consigliargli la resa, fermamente rifiutava, pur sapendo di mettere in tal modo a repentaglio la propria esistenza. Liberato in seguito alla resa delle truppe tedesche, partecipava con valore alla guerra di liberazione. Bell'esempio di fermezza, di sprezzo della vita e di onor militare". Nel 1992 Rimbotti ha dato alle stampe un saggio intitolato Salvo D'Acquisto. Un carabiniere da non dimenticare, edito dalle Edizioni Paoline.