Igino Piva
"Romero", "Quinto", "Ferruccio", "Battista": la quantità dei nomi di copertura usati da Igino Piva in tanti anni di battaglie, già dice del suo impegno nella lotta in difesa dei lavoratori, contro il fascismo e per la libertà. Dipendente del Lanificio Rossi e, durante la Prima guerra mondiale, del Genio militare, Piva aveva aderito giovanissimo al PSI. Se ne era staccato nella primavera del 1921, per fondare, con altri compagni scledensi, la locale Sezione del PCdI. Tra le file degli "Arditi rossi" si era scontrato per mesi con gli squadristi vicentini sino a che, nel 1923, per non essere ucciso dai fascisti, aveva risolto di emigrare in Brasile. A Rio de Janeiro, Piva aveva finito per organizzare un sindacato di marittimi e quando era passato in Argentina e in Uruguay non aveva trascurato di prendere parte attiva alle lotte dei lavoratori locali. Il rimpatrio coatto e il conseguente regime di vigilato speciale a Schio, non durò a lungo: nel 1936 Igino Piva emigrò in Jugoslavia e, di lì, passò in Spagna con le Brigate Internazionali. La battaglia di Guadalajara e quella per la difesa di Madrid lo vedono tra i protagonisti finché Piva, ferito, non ripara in Francia, dove è internato nei campi di Argelè-sur-Mer e di Gurs. Quando la polizia francese, nel 1940, lo consegna a quella italiana, Piva è confinato a Ventotene. Dovrebbe starci per cinque anni, ma grazie alla caduta di Mussolini, nell'agosto del 1943 è a Schio e, subito dopo l'8 settembre, è già attivo sulle montagne scledensi con la piccola formazione partigiana chiamata "Gruppo del Festaro". Il gruppo si disperde presto per una rastrellamento, ma Piva non si smentisce: dà un importate contributo alla costituzione delle Divisioni Garibaldi "Garemi", nelle quali è, di volta in volta, capo di stato maggiore e comandante di battaglione. Nel giugno del '44 partecipa a Sant'Antonio (frazione di Valli del Pasubio), alla riunione di comandanti e commissari partigiani, che decide l'intero assetto delle forze della Resistenza nella zona. Un mese dopo, per disposizione del PCI, eccolo nel Padovano come organizzatore di GAP e poi come comandante del 2° battaglione della Brigata Garibaldi "F. Cantucci". Nel gennaio del 1945, Igino Piva si sposta nel Novarese e in Valle Strona si aggrega al comando della 15ª Brigata "Rocco" della II Divisione Garibaldi "Redi". Sfuggito al rastrellamento del 31 gennaio 1945, ripara ad Avola ed è nominato commissario politico della ricostituita 119ª Brigata "Castaldi". Un mese dopo i repubblichini lo catturano e lo incarcerano a Baveno. Forse non sanno chi hanno imprigionato, fatto è che, il 25 aprile 1945, Piva è liberato e torna a Schio. Qui, due mesi dopo la Liberazione, è incolpato di aver avallato quello che ancora oggi va sotto il nome di "eccidio di Schio" (54 fascisti in attesa di processo, eliminati sommariamente in carcere, alla notizia della morte nei lager nazisti di molti cittadini scledensi deportati dai nazifascisti). Piva ripara prima a Trieste, poi in Jugoslavia, quindi in Ungheria, in Cecoslovacchia (dove lavorerà come operaio) e a Cuba. Potrà tornare in Italia, per amnistia, nel 1974 e a Schio riprenderà l'attività politica nella locale Sezione comunista. Vivrà poveramente, con un vitalizio, e morirà, quasi ottantenne, nell'Ospedale civile di Schio.