Licio Nencetti
Licio Nencetti aveva 18 anni quando il 26 maggio del 1944 si trovò davanti i fucili del plotone fascista di esecuzione. Si reggeva a malapena in piedi, piagato in ogni parte del corpo, il viso sfigurato. La cattura e il carcere non avevano piegato la sua determinazione di non parlare, di non dire una parola sui compagni in cambio della libertà promessa. Glielo propongono tante volte: "... se dici qualche nome dei comandanti partigiani e dove si trovano, sei salvo". Ma Licio non cede. Qualche mese prima aveva scritto alla madre che era necessario il suo impegno tra i partigiani "per difendere l'idea di mio padre, che è sempre viva in me e per ridare ancora una volta l'onore alla mia bella Patria".
Di fronte ai fucili puntati Licio trova la forza, l'ultima, di ergersi dritto, guardare le colline della Valdichiana che lo avevano visto combattere a fondo e gridare "Bella è la morte per l'onore della Patria". Di fronte a tanta fierezza - testimonia la motivazione per la concessione della Medaglia d'argento al valor militare alla memoria - i fascisti del plotone esitano. Licio è una maschera di sangue, molte ossa rotte, gli occhi pesti, ma si sforza di guardare fisso in avanti. Preso da furia isterica, il comandante del plotone corre davanti a Licio e scarica la rivoltella alla testa, fino all'ultimo colpo. Ma nessun uomo del plotone fascista si affiancò a lui. Chissà cosa passava, in quei momenti così unici, per la testa di quei fascisti, soldati di Mussolini, chiamati a sparare ad un altro italiano, così fiero delle sue idee, così impavido, così sicuro di morire per un ideale patriottico che - quello stesso ufficiale aveva loro detto - i "banditi", i "ribelli", i partigiani assolutamente non potevano avere.
Licio voleva "muoversi". Non tollerava la inerzia, l'attesa; voleva, come scrisse alla madre, "combattere per un'idea leale e giusta". Si arruolò nella 23ª brigata Pio Borri, diventandone in poco tempo uno dei componenti più decisi e capaci e conobbe in breve i compiti di comando, le azioni audaci, la lotta sempre più attiva nella Valdichiana e nel Casentino.
È per questo che ancora oggi, a tanti anni di distanza dalla sua fucilazione nella piazza di Talla, il nome di Licio Nencetti è ricordato con riverenza e con affetto. È per questo che a suo nome - un battaglione partigiano, subito dopo la sua morte si chiamò "Licio Nencetti" - sono intitolate, in molti comuni dell'Aretino (da Talla a Terontola, da Lucignano a Foiano della Chiana), piazze, strade, cooperative, sezioni dell'ANPI. È per questo che il nome di Licio ritorna in tante ballate e canzoni raccolte nei "Canti popolari toscani".
È per questo che, il 20 ottobre 1990, il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, ha decretato la concessione, alla memoria di Nencetti, anche della massima ricompensa al valor militare con questa motivazione: "Giovane diciottenne animato dai più elevati sentimenti patriottici, fin dall'inizio partecipava attivamente al movimento di liberazione, organizzando una agguerrita formazione armata, alla testa della quale, con indomito coraggio e notevole perizia, svolgeva numerose e difficili operazioni di guerra contro il nemico, nel corso delle quali viene anche ferito. Catturato in una imboscata e sottoposto a snervante interrogatorio e ad atroci torture, nulla di utile rivela ai suoi aguzzini che lo condannano a morte. Il suo contegno davanti al plotone di esecuzione è talmente fiero e sublime che i componenti di questo, all'ordine di "fuoco!" non hanno il coraggio di sparare contro di lui. Soltanto il comandante, sparandogli in bocca con la pistola, riuscirà a far tacere la sua voce fino all'ultimo inneggiante alla libertà della Patria".