Livia Bianchi
Attiva nella Resistenza già dall'8 settembre 1943, Livia Bianchi divenne presto partigiana combattente nella formazione "Ugo Ricci", operante sulle montagne della zona del Lario. Nel corso di un rastrellamento, un gruppo di partigiani, tra i quali c'era Livia, aveva trovato rifugio in una casa di Cima, a Porlezza. La casa, però, fu circondata dai fascisti. Dopo un lungo scambio di colpi, i partigiani, esaurite le munizioni, dovettero arrendersi. I fascisti condussero subito i loro prigionieri verso un muro del locale cimitero; si apprestavano ad eliminarli, quando il comandante dei militi si rese conto che nel gruppo c'era anche una donna. Offrì a Livia la possibilità di sottrarsi alla morte e di andarsene. Lei rifiutò e volle seguire sino in fondo la sorte dei suoi compagni di lotta. Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria con questa motivazione: "Nel settembre 1943, accorreva con animo ardente nelle file dei partigiani, trasfondendo nei compagni di lotta il fuoco della sua fede purissima per la difesa del sacro suolo della Patria oppressa. Volontariamente si offriva per guidare in ardita ricognizione attraverso la impervia montagna una pattuglia che, scontratasi con un grosso reparto nemico impegnava dura lotta, cui essa, virilmente impugnando le armi, partecipava con leonino valore, fino ad esaurimento delle munizioni. Insieme ai compagni veniva catturata e sottoposta ad interrogatori e sevizie, che non piegarono la loro fede. Condannati alla fucilazione lei veniva graziata, ma fieramente rifiutava per essere unita ai compagni anche nel supremo sacrificio. Cadde sotto il piombo nemico unendo il suo olocausto alle luminose tradizioni di patriottismo nei secoli fornite dalle donne d'Italia. Cima Valsolda, settembre 1943-gennaio 1945".