Livia Venturini
Era cresciuta in una famiglia di mezzadri, attivi antifascisti, nella Bassa Imolese. Alla vigilia del 1° Maggio 1930, erano stati i Venturini a issare le bandiere rosse sugli alberi della zona; quando i carabinieri giunsero, qualche mese dopo, a perquisire la loro casa, era stata Livia ad evitare che trovassero i volantini contro il regime, che uno dei fratelli (Amilcare), teneva nascosti in cantina. Ciò non impedì che l'Amministrazione degli Ospedali di Imola sfrattasse, nel giorno di San Martino, i Venturini, non tollerando sui suoi terreni "...famiglie coloniche nel cui ambito abbian potuto prosperare cospiratori e nemici del supremo ordine nazionale".
Nello stesso giorno, e con la stessa motivazione, fu sfrattata la famiglia dei vicini, i Poletti, con uno dei quali la Venturini era fidanzata e che avrebbe sposato nel 1933, quando Livio Poletti tornò a casa, dopo anni di carcere a Castelfranco Emilia e a Saluzzo; li aveva scontati dopo una condanna del Tribunale speciale per "costituzione del PC d'Italia, appartenenza allo stesso e propaganda".
L'8 settembre 1943, Livia e il marito entrarono subito nella Resistenza. La donna divenne staffetta del battaglione "Ruscello" della settima Brigata GAP e fu molto attiva nell'organizzazione dei Gruppi di Difesa della Donna.
Durante una manifestazione di protesta "contro la fame e la guerra", organizzata ad Imola il 29 aprile 1944, nella piazza antistante il Palazzo comunale i fascisti spararono contro le manifestanti. Maria Zanotti, detta Rosa (una vedova di Pontesanto, madre di sei figli), morì sulla piazza. Livia Venturini, colpita alla schiena da una pallottola, non si arrese. Con le forze che le erano rimaste si mise a gridare: "Fascisti maledetti, basta con la guerra! Ridateci i nostri uomini! Pane, non cannoni!".
Per Livia cominciarono quarantacinque giorni di atroci sofferenze tra l'ospedale di Imola, quello di Bologna, ancora quello di Imola. La donna morì, a 32 anni, nella casa di una sorella, che l'aveva ospitata con la piccola figlia Vanda. Il marito, al quale è stata intitolata una strada di Imola, morì quattro mesi dopo, combattendo contro i tedeschi con i partigiani della trentaseiesima Brigata Garibaldi.
Sulla vicenda di Livia Venturini, Sergio Soglia (che fu giovanissimo comandante partigiano col nome di battaglia di "Ciro" e poi capo cronista de l'Unità a Bologna), ha scritto nel libro Le donne imolesi insorgono. Ad Imola, in via Emilia 284, sulla casa dove Livia e Livio abitarono, li ricorda una piccola lapide.