Mario Brusa Romagnoli
Combattente in Val di Lanzo nella "Banda Pugnetto" con il nome di "Nando" il ragazzo era stato ferito e catturato durante uno scontro con i nazifascisti ai confini della Liguria. Riuscito a fuggire, Brusa entrò in un distaccamento delle formazioni "Mauri". Ai primi di marzo del 1945 fu di nuovo ferito, ma non desistette. Il 29 marzo era già impegnato a Bianzè, in un'azione contro un convoglio ferroviario tedesco sulla Milano-Torino. Ferito per la terza volta, Brusa fu catturato con tre suoi compagni (Francesco Bena, Giovanni Gardano e Vittorio Suman), che cercavano di trasportarlo in un luogo dove potesse essere curato. I quattro partigiani, il giorno dopo, furono passati per le armi sulla piazza di Livorno Ferraris. Della famiglia Brusa Romagnoli, Mario non è stato il solo caduto per la libertà. Altri due suoi fratelli, Filippo di 24 anni e Teoboldo di 18, si sono sacrificati seguendo gli insegnamenti del padre Giuseppe Brusa che, negli anni della dittatura, per sfuggire ai fascisti, lasciò il Piemonte e si trasferì in Molise, dove incontrò Nicolina Romagnoli. A Mario Brusa Romagnoli (un cui scritto è riprodotto nel volume della Einaudi "Lettere dei condannati a morte della Resistenza") è stata intitolata una scuola a Guardiaregia. Nel sessantesimo della Liberazione un suo fratello, nato nel dopoguerra e al quale è stato imposto lo stesso nome del partigiano ucciso, è tornato in Molise per presenziare alle celebrazioni.