Mario Damiani
Già negli anni dell'Università Mario Damiani era stato schedato dalla polizia (col fratello Alberto, che sarebbe poi diventato una dei promotori del Partito d'Azione e che avrebbe assolto un importante ruolo durante la Resistenza), come antifascista. Questo gli sarebbe valso, dopo la laurea in ingegneria, conseguita a Padova nel 1928, il divieto di frequentare il corso allievi ufficiali di complemento e l'assegnazione ad un reparto di disciplina. Ciò non impedì che il giovane, appena congedato, si legasse a gruppi socialisti, repubblicani e liberali, attivi clandestinamente nel capoluogo lombardo. Entrato in "Giustizia e Libertà", Mario Damiani fu processato nel 1931 con i dirigenti del nucleo milanese del movimento, ma fu assolto per insufficienza di prove. Due anni dopo finì di nuovo davanti ai giudici (con i fratelli Alberto e Piero), con l'accusa di aver organizzato un piano per far evadere dal carcere di Piacenza Ernesto Rossi, che vi era detenuto. Mario Damiani si fece due mesi di carcere a Roma e quando fu rimesso in libertà, riprese l'attività antifascista clandestina. Fu tra i fondatori del Partito d'Azione e, dalla fine del 1943, ne resse la segreteria lombarda.
Nel marzo del 1944 cadde nelle mani della polizia repubblichina. Internato nel campo di concentramento di Fossoli, il dirigente "azionista" fu di lì trasferito a Bolzano e infine deportato a Mauthausen, dove morì nel sottocampo di Gusen.