Mario Gordini
Faceva parte dell'organizzazione comunista clandestina ravennate. Nel 1937, Gordini tentò di espatriare, per andare in Spagna a combattere con le Brigate Internazionali. Fermato dalla polizia e deferito al Tribunale speciale, nel 1938 il contadino comunista fu condannato a sei anni di reclusione e rinchiuso nel carcere di Civitavecchia. Tornato libero con la caduta di Mussolini, Gordini dopo l'armistizio si diede alla lotta armata, alla testa della Brigata Garibaldi GAP "Dino Sintoni". Fu lui che, affiancato da un compagno, il 30 ottobre 1943, in pieno centro a Ravenna, sparò a un console della Milizia, tale Troiano, ferendolo gravemente. Pochi mesi più tardi, nel gennaio 1944, Mario Gordini (che dopo una riunione si era fermato a dormire nell'abitazione di Settimio Garavini), fu arrestato dai repubblichini. Portato, col suo ospite, nelle carceri di Forlì, Gordini vi fu atrocemente torturato. I fascisti lo passarono quindi per le armi con Settimio Garavini, nella cui casa si era svolta la riunione. Davanti al plotone d'esecuzione il contadino comunista tenne un contegno fermissimo (che nel dopoguerra gli sarebbe valso la decorazione alla memoria) e, prima della scarica, gridò "Viva la libertà!". Abbattuto dai proiettili, Gordini non morì subito e, quando il comandante dei fascisti gli si avvicinò per sparargli il "colpo di grazia", ebbe ancora l'animo di lanciargli contro un sasso intriso del proprio sangue. Dopo la morte di Mario Gordini, la XXVIII Brigata Garibaldi (che sarebbe stata comandata da Arrigo Boldrini), ne assunse il nome. Al valoroso patriota sono oggi intitolate strade di alcuni Comuni del Ravennate e del Ferrarese, anche in riconoscimento del grande contributo dato dai partigiani delle due province alla sconfitta dei nazifascisti.