Mario Grecchi
Nel poligono di tiro di Perugia la mattina del 17 marzo 1944 i nazifascisti portavano a braccia un condannato a morte. Era moribondo per le numerose ferite, ma gli era stata praticata una trasfusione di sangue perché vivesse fino all'alba e potesse essere fucilato. Rifiutò la benda. Era Mario Grecchi, non ancora diciottenne comandante di un gruppo della brigata "Leoni ". Aveva sempre sognato la vita militare. Si era iscritto ai collegio militare di Milano appena uscito dal ginnasio. Era intransigente con se stesso, ma pieno di comprensione verso gli altri e di grande sensibilità umana. Aveva un innato desiderio di libertà e, perciò, avversione per il fascismo. La lotta partigiana, a cui aderì nel febbraio 1944, gli offrì una forma più alta di partecipazione alla vita militare. La disciplina non era più un dovere astratto, bensì una scelta autonoma ed ideale e l'esercizio delle armi si tramutava in battaglia per una causa giusta. Non lo spingeva nessun obbligo di leva, solo una volontaria adesione alla liberazione del Paese. Diventò subito comandante della sua banda, che operava nella zona dei monti di Bettona, Deruta, Collemancio, in provincia di Perugia e fu popolare tra la gente del luogo per la sua giovane età, il coraggio, la bontà. Si distinse nelle prime azioni condotte con lucidità ed audacia. Ridistribuì alla popolazione della frazione Casilina i generi alimentari già requisiti dai tedeschi. Effettuò sabotaggi, attaccò il presidio repubblichino di Deruta. Il 6 marzo si offrì come volontario per frenare l'avanzata dei tedeschi della divisione Goering che si preparava ad un grande rastrellamento nella zona. La brigata "Leoni" e la vicina banda "Francesco Innamorati" erano ormai accerchiate e avevano deciso di difendersi. Mario Grecchi era con cinque uomini, tutti sardi, in un cerchio di ferro e di fuoco che si stringeva inesorabilmente su di loro. La coraggiosa resistenza non poteva avere se non un esito tanto drammatico quanto eroico: caduti due compagni, dopo quattro ore di combattimento Mario, gravemente ferito, ordinò ai superstiti di ritirarsi; poi si alzò a fatica reggendosi su un gomito per sparare l'ultimo colpo contro l'ufficiale tedesco che avanzava a farlo prigioniero. Mario Grecchi era credente. Il confessore, don Arsenio Ambrogi, che lo assistette negli ultimi istanti, racconta che gli chiese di tenersi il crocefisso tra la giacca e la camicia, sul cuore. "Un comando, una scarica di moschetti - narra ancora il sacerdote - una palla di moschetto prima di giungere al cuore di Mario aveva trapassato, spezzandolo, il crocefisso ".