Piero Campisi
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, interrotti gli studi, il ragazzo raggiunse in Val Trompia le prime formazioni partigiane delle "Fiamme Verdi". Proprio perché non aveva, allora, obblighi di leva, Campisi fu spesso utilizzato per rischiose missioni a Brescia. In occasione di una di queste fu arrestato e, soltanto grazie ad un espediente, riuscì ad evitare la deportazione in Germania. La sua autobiografia − pubblicata, fuori commercio, dalla seconda moglie, Irmingard Fehrmann, a vent'anni dalla scomparsa dell'autore − reca un curioso titolo: La Pecheronza. Con l'espressione "c'è l'ape che ronza", infatti, uno dei fattorini de l'Unità si divertiva ad annunciare ai redattori l'entrata in funzione della telescrivente del giornale. Campisi, che è stato per anni giornalista nell'allora organo del PCI e che nel 1967 aprì a Desenzano la galleria "L'antiquario del Garda", facendone un importante centro di cultura, ne La Pecheronza tratta soprattutto della sua esperienza di partigiano. Dall'armistizio alla Liberazione si snodano, infatti, le storie della formazione T3 della "Brigata Perlasca", alle quali fanno poi seguito quelle del periodo della "polizia partigiana", dell'impegno nel Partito d'Azione, dell'adesione al Partito comunista, dell'attività giornalistica che si svolge, a partire dal giornale satirico bresciano Il Barabba, a La Verità di Brescia, a Noi Donne, alla Tribuna di Mantova e, appunto, a l'Unità, per la quale ha continuato a collaborare, anche quando era diventato antiquario. La morte lo ha colto mentre stava lavorando alla stesura di un romanzo di ambiente partigiano, il cui titolo provvisorio è Alexis. Ventisei lettere dalla Corna Blacca. La malattia ha fermato Piero Campisi all'undicesima lettera.