Pietro Lari
A Pietro Lari è intitolata una strada del paese natale, dove, per le sue idee antifasciste, ha potuto trascorrere pochi anni. Già nel marzo del 1928, infatti, il vetraio era stato arrestato e deferito al Tribunale speciale. L'assoluzione, dopo un anno di carcere, era stata accompagnata dall'imposizione di misure di "sorveglianza speciale" e Lari, per eluderle, aveva deciso di espatriare. Nel 1936, allo scoppio della Guerra di Spagna, il giovane empolese accorre volontario, con tanti altri antifascisti italiani, nella Brigata Garibaldi. Caduta la Repubblica, con il conseguente ritiro delle Brigate Internazionali, Lari entra in Francia, dove l'attende l'internamento nel campo di Vernet. Ci resta sino all'occupazione tedesca, alla quale segue la consegna alla polizia italiana. Confinato a Ventotene, è liberato soltanto dopo l'armistizio. Lari entra subito nelle file della Resistenza fiorentina. Nel febbraio del 1944 è catturato a Firenze e i fascisti lo rinchiudono nel campo di concentramento di Fossoli, una frazione di Carpi, dove sono ristretti ebrei ed antifascisti. Vi resta sino ai primi di luglio, quando i tedeschi - che con un contingente di SS d'origine ucraina esercitavano il controllo armato del campo - decidono di vendicare sette loro camerati, morti o feriti nel deragliamento di un treno (la cui responsabilità fu attribuita ai partigiani). Formano gruppi di prigionieri ai quali si dà ad intendere che saranno trasferiti in Germania. Settanta uomini partono, a scaglioni, verso le fosse già scavate. Pietro Lari è tra questi. Morirà con altri sessantasei patrioti. Si salveranno tre uomini: due riusciranno a fuggire dal luogo dell'eccidio, disarmando i militi addetti alla sorveglianza; il terzo, il partigiano cattolico Teresio Olivelli, riuscirà a nascondersi in una baracca di Fossoli, ma morirà sei mesi dopo, per difendere un compagno di prigionia nel lager di Hersbruck.