Pietro Zorzini
Era cresciuto in un ambiente d'antifascisti e fu per lui naturale, dopo l'armistizio, impegnarsi, nonostante la giovane età, nella Resistenza. Entrato nella Divisione Garibaldi "GAP-Friuli", Zorzini divenne presto il vice comandante del Battaglione "Montina". Fu proprio con i patrioti di questa formazione - comandata da Gelindo Citossi, detto "Romano il Mancino" e meglio conosciuta come i "Diavoli Rossi" - che il ragazzo, la sera del 7 febbraio 1945, fu protagonista del colpo di mano che permise di liberare dal carcere di via Spalato, a Udine, settantatré prigionieri politici, alcuni dei quali erano già stati condannati a morte.
Pietro Zorzini cadde meno di tre settimane dopo questa clamorosa azione e quando già era prossima la Liberazione. Il giovane si trovava alla periferia di Udine con altri gappisti, nell'attesa di portare a termine una nuova azione contro i nazifascisti. Il gruppetto si vide improvvisamente impegnato da un forte reparto nemico. Per consentire ai suoi compagni di allontanarsi, "Pierino" (così lo chiamavano tutti), impegnò da solo i fascisti e, benché ferito, continuò a sparare. Cadde falciato da una raffica.
Dopo la morte del ragazzo, una Brigata partigiana ne assunse il nome. Nel Sessantesimo della Liberazione, una mostra itinerante di tempere (opera del pittore Alfonsino Filiputti), che illustrano il clamoroso episodio del carcere di Udine, è stata organizzata in molte località del Friuli.