Raffaele Maderloni
Di umile famiglia operaia, Raffaele perde presto il padre, gravemente malato per le conseguenze di un incidente sul lavoro. Affidato a un orfanotrofio conosce le ingiustizie subite dai ragazzi più grandi ma anche la solidarietà di altri piccoli ospiti. Appena adolescente partecipa alle mobilitazioni popolari del primo dopoguerra e del Biennio rosso. Si avvicina al Partito Comunista d'Italia fin dagli albori e nell'anno della marcia su Roma è malmenato dai fascisti che, giunti in migliaia ad Ancona, sfilano per la città e incendiano la Casa del Proletariato e altri circoli operai.
Nel 1923 Maderloni si iscrive alla Gioventù comunista, contribuendo ad aprire la sezione locale di cui diviene segretario. Da allora in poi la sua vita sarà interamente dedicata al partito, all'attività antifascista e alla difesa dei lavoratori, impegni che pagherà con altre aggressioni delle camice nere, angherie dei superiori in grado durante il servizio di leva in Marina, numerosi fermi di polizia, più volte con il carcere, le ammonizioni e il confino.
È schedato come sovversivo dal '26, recluso a San Vittore a Milano dopo essere stato intercettato dalla polizia politica quale componente di una delegazione in procinto di recarsi a Candelo, in Piemonte, al Congresso della Federazione della Gioventù comunista. Nel gennaio '32 finisce nuovamente agli arresti per la scoperta di una tipografia clandestina ed è trasferito a Roma nel 4° braccio di Regina Coeli, in attesa di essere deferito al Tribunale Speciale per la difesa dello Stato. A salvarlo, dopo quasi un anno di cella, “l'amnistia del decennale”.
Ha sposato da pochi mesi Rinalda Ciasca, ed è padre di Roberto (poi nasceranno Uliano e Riccardo e nel secondo dopoguerra Claudio) quando, nel febbraio 1935, arriva la condanna al confino: 5 anni, destinazione Ventotene. Durante una licenza per motivi familiari, in prigione ad Ancona, difende un compagno detenuto: gli vengono comminati otto mesi di reclusione.
Nel '37, commutato il confino in ammonizione, Maderloni torna a casa sorvegliato speciale. Prosegue l'attività antifascista e di stampa clandestina in favore dei lavoratori (col corollario di provvedimenti punitivi) fino alla decisione, nel '43, di darsi alla macchia per sfuggire all'ennesimo arresto.
Dopo l'armistizio, “Raffa” è incaricato di curare i collegamenti tra il CLN marchigiano e le brigate garibaldine. Liberata Ancona, nel '44, prosegue l'attività partigiana nell'88° Reggimento Divisione “Friuli”, partecipando all'offensiva antitedesca che porterà alla Liberazione di Bologna, il 21 aprile 1945.
Nel dopoguerra, Raffaele Maderloni viene assunto come operaio specializzato in uno stabilimento militare (in passato è stato garzone e cameriere, operaio ai cantieri navali e bigliettaio nell'azienda tranviaria, sempre licenziato). Diverrà rappresentante sindacale e nel '47 sarà eletto componente, responsabile per le Marche, della Direzione della Federazione Nazionale Statali del Ministero della Difesa. In omaggio alla sua memoria, a dieci anni dalla scomparsa, nella collana “I Quaderni” dell'Istituto Gramsci Marche è stato pubblicato il volume Raffaele Maderloni. Ricordi 1923-1944, a cura di Claudio Maderloni e Massimo Papini.