Raffaele Menici
Durante la Prima guerra mondiale aveva combattuto come ufficiale degli Alpini. Aveva poi lavorato in banca sino a che, nel 1940, era stato mobilitato sul fronte greco-albanese. Era tenente colonnello del 6° Alpini quando, dopo l'armistizio, fu catturato dai tedeschi a Zara. Riuscito a fuggire, l'ufficiale tornò nella natia Val Camonica e fu tra i primi organizzatori della Resistenza. Divenuto, di fatto, il comandante partigiano dell'alta valle, Menici tenne i collegamenti con i giellisti di Bergamo e, tramite questi, con il CLN dell'Alta Italia. Nell'agosto del 1944, su incarico di Ferruccio Parri, si accordò con i dirigenti della Edison per difendere dai nazifascisti gli impianti idroelettrici della zona sotto il suo controllo. Venuto in contatto con le formazioni partigiane cattoliche "Fiamme verdi", Menici rifiutò di aderirvi, anche per non accentuare le frizioni ideologiche tra le "Fiamme verdi" e i partigiani garibaldini. Costretto infine ad una scelta, il 5 ottobre del 1944, confluì con la sua formazione nella 54ª Brigata Garibaldi, attiva in Val Saviore e nell'alta Valle Camonica. Meno di dieci giorni dopo, un reparto di SS di stanza ad Edolo fece irruzione nella casa di Menici e arrestò sua moglie, la figlia Luciana, una sorella del partigiano garibaldino e i figli di questa, Idilia e Zefferino Ballardini. Luciana e Idilia furono deportate nel campo di Gries (Bolzano); Zefferino fu poi assassinato nel carcere di Edolo. Il 18 ottobre Menici, che aveva fissato un incontro con i tedeschi per trattare il rilascio della moglie ammalata, invece dei nazisti trovò nel luogo dell'appuntamento alcuni partigiani delle "Fiamme verdi" che, accusandolo di intesa col nemico, lo costrinsero a seguirlo nella loro base in Val Brandét. Successivamente, avendo Menici provato la sua lealtà, le "Fiamme Verdi" (secondo quanto risulta da una sua lettera ad un congiunto), decisero di farlo espatriare in Svizzera. Scortato da un partigiano, Menici era diretto verso il Passo dell'Aprica quando fu raggiunto da un'automobile tedesca. Dalla macchina fu esplosa una raffica che lo abbatté. Nel 1975, Ercole Verzeletti ha pubblicato un libro dal titolo Fazzoleti rossi, fazzoletti verdi: il dissidio nella Resistenza in val Camonica, nel quale si tratta anche di questo episodio. Nel 1995, nei "Quaderni della Fondazione Micheletti" di Brescia, è uscito un numero monografico di Mimmo Franzinelli dal titolo Un dramma partigiano. Fiamme verdi, garibaldini e tedeschi in Alta Valcamonica, nel quale si sostiene che l'uccisione del comandante garibaldino è nata da un regolamento di conti interno alle "Fiamme Verdi". Nel 2002, Ermes Gatti, presidente dell'organizzazione degli ex partigiani cattolici, ha replicato col libro Difendo le Fiamme Verdi. Altri interventi di storici hanno alimentato la polemica.