Riccardo Cassin
Orfano di padre all'età di quattro anni (il genitore morì in una miniera del Canada, dove era emigrato), Riccardo Cassin nel 1926 approdò a Lecco, che divenne la sua città d'adozione. Qui mosse i primi passi in quell'attività che l'avrebbe portato a diventare uno dei più grandi scalatori dell'alpinismo mondiale. Cassin, infatti, ha al suo attivo 2.500 ascensioni, cento delle quali mai osate da altri prima di lui. Per festeggiare il cinquantenario della sua prima "arrampicata", a 78 anni ha compiuto una doppia ascensione al Pizzo Badile. Alla vigilia del compimento dei cento anni di età, il Comune di Lecco ha consegnato a Cassin una medaglia d'oro di benemerenza, ha organizzato una mostra sulla sua vita, ha inaugurato un monumento (chiamato dei "cento fili"), eretto davanti al Municipio in Piazza Diaz. Sulla vita di Riccardo Cassin è stato anche pubblicato un libro. Ci limitiamo qui a ricordare di Cassin l'impegno nella Resistenza, stralciando dall'articolo che, nel dicembre 2002, Sergio Giuntini ha pubblicato su Patria Indipendente, a cominciare dalla testimonianza di Giacinto Domenico Lazzarini, detto Fulvio, il colonnello italo-canadese che il 6 febbraio 1945, fu paracadutato al Pian dei Resinelli per coordinare le ultime fasi della lotta contro i nazifascisti. Disse Lazzarini: «Non potrò mai avere parole sufficienti per il Gruppo Rocciatori della Grigna che fu il vero nucleo della vera Resistenza lecchese, comandato da Cassin e da me. Essi furono eroici sia durante i mesi della mia permanenza, sia durante la battaglia per la liberazione di Lecco. Ed in modo particolare devo ricordare l'indimenticabile "Farfallino" Giudici, che cadde con la mia giacca di lancio, che mia moglie gli aveva fatto indossare in casa Cassin. Cassin, sua moglie e sua madre ebbero il coraggio di ospitare mia moglie, ricercata con il massimo accanimento dalle forze fasciste». Fin qui Lazzarini. "Ma - prosegue Sergio Giuntini - lasciamo ora direttamente, sul filo della memoria,la parola a Riccardo Cassin, l'alpinista-partigiano, il quale rievoca così, senza alcuna enfasi retorica, il cruento combattimento per liberare la città lecchese, che portò al sacrificio estremo di numerosi suoi compagni d'arrampicata: «Il 26 aprile 1945 - ricorda Cassin - affrontammo 300 uomini bene armati delle Brigate Nere che tentavano di raggiungere la colonna Mussolini nell'Alto Lario. Nei primi scontri cadde Alfonso Crotta, poi Vittorio Ratti, con cui avevo effettuato due belle prime: sulla Nord della cima Ovest della Lavaredo e sulla Nord Est del Badile. Io stesso venni ferito il mattino del 27, mentre dalla massicciata della ferrovia sparavo con un bazooka sui repubblichini' asserragliati in un caseggiato. Caddero altri amici, Italo Casella, Angelo Negri, il liceale Alberto Picco, prima della resa degli assediati. Farfallino' e altri tre saltarono su per la gioia: vennero fulminati sul posto da una raffica. In un'ala del fabbricato non si erano accorti che il loro comandante aveva esposto la bandiera bianca. Il Gruppo Rocciatori chiuse la sua attività con la grande sfilata del 6 maggio 1945 a Milano. Non ci sentivamo eroi, ma solo uomini liberi che, finalmente, potevano tornare ad essere solo alpinisti». Cassin è spirato nella casa di famiglia al Pian dei Resinelli, sopra Ballabio. Sembra che, intuendo di essere giunto alla fine dei suoi giorni, avesse chiesto ai figli che fosse interrotta ogni cura. Vastissime le dichiarazioni di cordoglio per la scomparsa del valoroso alpinista. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa la notizia della scomparsa del Cavaliere di Gran Croce Riccardo Cassin, in un messaggio inviato alla famiglia e alla omonima Fondazione, per il tramite del Segretario Generale della Presidenza della Repubblica Donato Marra, ha espresso sentimenti di profondo cordoglio, nel ricordo delle grandi imprese di cui egli fu protagonista e che hanno segnato la storia dell'alpinismo mondiale.